L’IPCC È SPRECATO SE PENSA SOLO E SEMPRE ALLA CO2 –
Il concetto-base sviluppato nella lunga serie di articoli su energia e ambiente è quello della distinzione fra i numerosi problemi di “sostenibilità”, per evitare che il pubblico venga convinto dai media che esiste un unico problema “globale” risolvibile con un “rimedio comune” tecnologico-sociale, consistente in sintesi in un cambiamento di stili di vita, favorito dall’uso di nuove fonti energetiche “miracolose”. L’ultima inutile riunione dell’IPCC a Copenhagen (inizio novembre 2014) ribadisce con maggior veemenza la necessità di raggiungere il picco delle emissioni di CO2 nel 2020 per riportare il livello a zero entro fine secolo, il tutto senza interventi speciali, del tipo stoccaggio dell’anidride carbonica nelle miniere dismesse, perché “non piace ad alcuni ambientalisti”. Perciò si dovrebbe raggiungere ”emissione zero” solo per mezzo di energie “alternative” (e totale immobilità degli esseri viventi!). Per esempio le infrastrutture per le energie rinnovabili o pioveranno dal cielo o si otterranno usando altre energie rinnovabili, proprio con un impossibile “moto perpetuo”, che nessun membro dell’ONU, decorato di premio Nobel, osa contestare. E lo dicono “gli esperti”, cioè i 2000 “scienziati” dell’IPCC e i loro “maestri”, tipo quel Guido Visconti, consulente ultradecennale anche del Corriere della Sera, che, nelle sue “oscillazioni”, è tornato ambientalista ortodosso, nonostante ammetta che con i modelli matematici attuali (una quarantina) “non si cava un ragno dal buco”. E magari Copenhagen fosse l’ultimo congresso per quest’anno: no! È prevista una replica della riunione a Lima per precisare meglio quello che comunque non si è fatto quest’anno né cinque anni fa nella stessa Capitale danese. E non finisce qui: le decisioni sul (nuovo) Protocollo di Kyoto, o comunque “sul da farsi”, saranno prese a fine 2015 a Parigi, magari nel bel mezzo di un travolgente can-can per festeggiare l’ormai inevitabile fine del mondo, per fortuna annunciata dal ‘70 e sempre rinviata, ad ogni riunione, di almeno un altro ventennio (ma non capiscono quanto sono ridicoli?). Molto prima che lo capisse persino Beppe Grillo, avevo obiettato che le “emissioni” provocate da questi viaggi, con mete esotiche, e per circa 5000 persone alla volta, sono superiori a quelle che intenderebbero far risparmiare con i loro accorgimenti (inesistenti). Sì, ma chi se ne frega? Siamo noi, Paesi aderenti al Protocollo di Kyoto, in pratica Europa e, in minima parte, Africa, che paghiamo i loro viaggi e le inutili scartoffie che da decenni ricopiano per rileggerle alle conferenze, modificando in peggio solo la “percentuale di confidenza” nella colpevolezza delle attività antropiche!
SI TRASCURANO ALTRE EMERGENZE VERE E QUELLE FALSE CAUSANO CATASTROFI
In una lista ideale di priorità le emergenze di origine antropica identificate dagli ambientalisti si troverebbero, se non in coda, certamente verso la fine: e infatti incombono sull’Umanità pericoli ben più gravi, ma che, per motivi facilmente intuibili, interessano meno a certe istituzioni o certi “poteri”, sia per la difficoltà intrinseca reale, sia per lo scarso ritorno economico in caso di successo nella soluzione, vera o pretesa che sia. Uno studio pubblicato nell’ormai lontano 2004 da volonterosi (e onesti?) scienziati, fra i quali, per quel che valgono, “dei Premi Nobel”, indicava come prioritaria la lotta all’AIDS (che oggi potrebbe essere accomunata con quella contro l’Ebola e anche alla Legionella), seguita dal plurisecolare problema della fame nei Paesi poveri e poi addirittura dalla “vecchia” malaria, e così via (probabilmente esiste ancora la lebbra…, e non dimentichiamo il mai debellato cancro!), relegando il Global Warming a un livello in cui “necessitava di approfondimenti”, cioè non era neanche un problema consolidato. Anche Zichichi a Erice giungeva e giunge annualmente a classifiche simili sulle emergenze, su cui concordo per motivi di buon senso: concentrarsi sul GW, trascurando il resto, quando si conoscono le doti straordinarie di adattamento fisiologico dell’Umanità da oltre 30000 anni, è pura superstizione e fanatismo pagano.
Dell’emergenza ”guerra” gli ecologisti non parlano, come se fosse un fatto fisiologico ineludibile, cioè del tutto naturale, che, come le malattie non curate, contribuisce, utilmente, secondo loro, a limitare la popolazione. E’ di attualità anche l’effetto del rischio idrogeologico, secondo me causato proprio da quegli ambientalisti che 30-40 anni fa proclamavano, a causa del Global Warming, la fine delle grandi precipitazioni e la tendenza alla desertificazione, inducendo gli speculatori, ma soprattutto i risparmiatori, a costruire case e opere pubbliche a buon mercato (e scarsa sicurezza) ovunque, senza considerare il pericolo di frane in caso di piogge torrenziali che secondo gli esperti non si sarebbero più verificate. Ed ecco il risultato, ma senza che nessuno osi denunciare i profeti di desertificazione e siccità. Ed è di attualità anche l’aumento delle carestie dovuto all’intensificarsi degli investimenti ecologici sulle “biomasse” e sulla copertura con pannelli solari di immense superfici agricole: in pratica agli ambientalisti conviene meno che il terreno produca alimenti.
VILE SPECULAZIONE ECONOMICA SULLA SOVRAPPOPOLAZIONE
Ho dovuto parlarne per oltre due anni, constatando che l’Umanità che circonda noi privilegiati non si occupa delle vere emergenze planetarie, che ho citato in parte, se non per escogitare vari modi per relegarle nei luoghi (Paesi) di origine, sperando che divorino al più presto la numerosa indebolita Umanità che affliggono, risolvendo così il problema che gli ambientalisti, inclusi fior di Nobel e di filosofi politologi, pongono al primissimo posto, quello della sovrappopolazione. Chissà se molti si rendono conto che, parlando di ciò, ci si riferisce quasi solo all’Africa e ai suoi Paesi improduttivi, dove imperversano le malattie causate dalla povertà; mentre sembrano ormai assolti da questa “accusa” la Cina e perfino l’India, che hanno raggiunto un grado di industrializzazione e di capacità di scambi commerciali paragonabili a Stati Uniti e Russia; e si finge di ignorare che la popolazione potenzialmente produttiva di Cina e India da nutrire e anche da far vivere dignitosamente è almeno quattro volte superiore a quella di Russia o USA. Il cinismo e la crudeltà di economisti, sociologi e filosofi che sostengono le tesi di limitare la popolazione nei soli Paesi poveri li rende i veri criminali di questo Pianeta. Ma tutto ciò richiederebbe una discussione dedicata che esula dagli argomenti qui trattati.
L’ATTIVITÀ ANTROPICA È RARAMENTE DANNOSA; RISPARMIARE, MA SENZA DRAMMATIZZARE
Limitiamoci dunque ai temi ambientali climatici e energetici e proseguiamo nel sommario per arrivare finalmente alla conclusione. Si è visto che a capo di tutto si immagina un’unica energia che pervade l’Universo intero, “visibile” e invisibile. Si è scesi poi a livello “terrestre” e quindi “umano”, discutendo sull’eventuale gravità dei problemi diventati “di moda” negli ultimi pochi decenni a cavallo del Millennio, e dalla “moda” attribuiti arbitrariamente alle attività antropiche (per esempio, la stessa moda assolve le tarme, che consumano i tessuti, i tarli, che fanno crollare mobili e case, le zanzare, che fanno saltare i nervi). I problemi dichiarati prioritari sono dunque: variazioni climatiche, radioattività (indotta, ma chi insegna a distinguere tra quella indotta e quella naturale?), disponibilità di fonti energetiche, ricerca e uso di energie cosiddette “alternative” e, peggio, “rinnovabili”, inquinamento idrico, terrestre, atmosferico, fisiologico (e, purtroppo, non anche psicologico e mediatico), stili di vita che influenzano il consumo energetico, in particolare l’uso di veicoli a motore a combustione. Ho cercato di dimostrare, senza riuscirci, che ciascuno dei problemi citati merita un’attenzione individuale, stabilendone la graduatoria d’importanza e nella convinzione che non esista una panacea, ma che occorra scartare ciò che non è problema (il buco nell’ozono? la CO2 “antropica”?) e smorzare ciascuno degli altri, senza sperare di risolverne alcuno completamente: la lotta per la sopravvivenza è eterna.
Ma una cosa è fondamentale: separare i problemi economici da quelli cosiddetti ambientali; isoliamo i loschi individui che studiano l’ambiente a scopo di lucro e ridurremo a metà i problemi. Su questo concordo a malincuore con chi va predicando la “decrescita felice”, che in Italia è stata inventata, descrivendola in un libro di successo, da un certo Maurizio Pallante intorno al 2005 e poi ripresa con la massima enfasi dal neo politico (ex antipolitico) Beppe Grillo. Il motivo del mio “malincuore” è che i due bei tomi che portano avanti queste tesi e i loro adepti non si adatterebbero mai a vivere (perché mai l’hanno provato) in una “società felicemente decresciuta”.
Insomma, non c’è scampo: vogliamo far durare più a lungo le risorse la cui esistenza è accertata e valutabile quantitativamente? Occorre centellinarle. E centellinare significa consumare di meno (con o senza sacrifici; supponiamo pure che all’inizio si possa contare sull’efficienza, cioè assenza di sacrifici grazie al maggiore uso dell’intelligenza; ma anche l’efficienza raggiunge un suo massimo oltre il quale insistere nel miglioramento è antieconomico e… anti ecologico). Ma minor consumo significa minor produzione, ossia minor Prodotto Interno Lordo (PIL), ossia maggior debito pubblico, maggior tassazione e maggiore povertà (specialmente per quella parte di popolazione che è improduttiva, cioè debole o vecchia), con due possibilità. Che significano sacrificio insostenibile per quasi la metà della popolazione mondiale, “sottosviluppata” o no: o rassegnarsi a una decrescita comunque infelice o sterminare i deboli. Pur cercando di rallentarli il più possibile, entrambi i processi porterebbero comunque a stermini di vite umane: bisogna sempre ricordare che gli ecologisti venerano animali e vegetali e mai, se potessero, li sacrificherebbero in favore degli “umani”; il pretesto scientifico è il mantenimento dei cicli biologici e delle catene alimentari: chissà perché si preoccupano dell’insostenibilità della sovrappopolazione umana e non di quella, per esempio, dei topi. In questo modo l’economia continuerebbe a procedere in salita, ma evidentemente ne trarrebbero profitto solo coloro che sono a capo di questi movimenti “ecologisti” e che hanno la faccia tosta di descrivere gli scenari in libri venduti anche con successo. Chissà se gli “esperti” calcoleranno il risparmio energetico ottenibile dall’eliminazione della produzione e lettura (e dalla confutazione) dei libri di questo genere.
COSTOSI E INUTILI RISPARMI ENERGETICI: L’ALTERNATIVA È NUCLEARE
E così, per evitare “traumi” di ogni tipo, i vari governi, specialmente quelli tecnici, ben rappresentati dall’ex-ministro per l’Ambiente Clini, allora elogiato da Legambiente e soci, e oggi indagato per incredibili malversazioni, chiesero al cittadino di “risparmiare” sui consumi energetici; ma non nel senso di usare oculatamente l’energia di pessima qualità messa a disposizione dello Stato (costoso petrolio e carbone straniero), ma nel senso di finanziare generosamente le “energie alternative”; e anche di ricomprarsi la macchina (meglio se una costosissima “elettrica”, se non proprio a idrogeno che oggi la Toyota “svende” a circa 80000 euro) e di rimodernare l’abitazione, o almeno di cambiare tutte le caldaie e di coibentare, con nuovi costosi ritrovati, pareti, tetti e terrazzi. In pratica Governi e Ambientalisti chiedevano, e chiedono tuttora, di “buttare” tutto il vecchiume energivoro, sostituendolo con lussuose novità ecologiche, cosa che col “risparmio” di ogni genere non ha niente a che vedere, mentre spinge a consumare sempre di più, che è l’obiettivo di Merkel e compagni.
Ma il nocciolo della questione sta proprio tutto qui: posto che i modelli economici dei Paesi Occidentali (a cui ormai si sono aggiunte Cina e Russia e, confusamente, l’India) sono inamovibili, ci si deve confrontare con una migliore gestione delle risorse esistenti e possibilmente con lo sfruttamento di nuove risorse più potenti (e le “rinnovabili” non sono né nuove, né potenti). Se fosse vero, ma non lo è, che stanno finendo le risorse, si dovrebbero trovare subito le alternative; le energie rinnovabili, di bassissima potenza (eccetto l’acqua) sono solo buone a generare montagne di scorie (sì, di scorie, cioè materiale non riutilizzabile e da smaltire, cari ingenui adoratori del dio Sole); le risorse energetiche di media potenza (gli idrocarburi) saranno sempre più difficili da reperire e soprattutto da assegnare, anche se non si esauriranno, e quindi devono essere sostituite o, meglio affiancate (ci sarebbe ancora qualche secolo di margine, ma perché aspettare?) dall’energia nucleare, qualunque essa sia, anche se quella a fissione è già disponibile in abbondanza insospettabile (gli ambientalisti rifiutano questa realtà).
Altrimenti, di che risparmio energetico si parlava prima che scoppiasse la grande crisi economica causata da manovre finanziarie criminali e non (solo) da cattiva gestione delle fonti energetiche? Perché non lo si invoca più? Mi piacerebbe ridere sul muso dei sostenitori dell’irreversibile raggiungimento dell’”oil peak”, che qualche anno fa (2006?) avrebbe segnato l’inizio della fine del genere umano; e di quegli altri che ogni anno ci ricordano che da mesi abbiamo esaurito le risorse per mantenere la popolazione mondiale e che stiamo sopravvivendo grazie a quelle che i nostri posteri avrebbero dovuto trovare tra qualche annetto e quindi, non trovandole, morranno di fame e di sete (a questo tragico evento è stato assegnato un nome americano, che non ricordo). Ciò non toglie che sia sciocco sprecare una qualunque risorsa che ci offre l’Ambiente: bisogna invece ottimizzarne l’uso e conoscerne alla perfezione le proprietà, perché in ognuna di esse potrebbe nascondersi una possibilità di miglioramento delle nostre condizioni di vita; quale pur brillante economista un secolo fa avrebbe scommesso sulla scoperta di una risorsa, la fissione nucleare, che supera di numerosi ordini di grandezza la resa della combustione “fossile”? (fu quasi una sorpresa anche per Enrico Fermi)
Chi mi conosce, invece, scommetteva che avrei concluso queste note con la “pubblicità” della fissione nucleare, ma li deluderò nei due capitoli conclusivi, perché anche quella pur bistrattata meravigliosa risorsa sta superando il mezzo secolo di utilizzo (fra mille difficoltà) e richiede una più efficace alternativa.
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