Stresa – Era il 10 giugno 1934 e a Roma la nazionale italiana di calcio conquistò il primo Mondiale della sua storia. Gli azzurri sconfissero 2-1 la Cecoslovacchia con Angelo Schiavio che dopo il gol vittoria ai supplementari svenne addirittura per l’emozione.
Un successo, quello, costruito in Piemonte, sul Lago Maggiore. Quel successo, sul quale restò qualche ombra ai posteri per favori arbitrali, fu costruito sul Lago Maggiore.
Il commissario tecnico Vittorio Pozzo scelse infatti la località Alpino di Stresa, famosa per il «clima salubre», per il raduno premondiale con l’intento di offrire ai giocatori un’occasione di affiatamento – all’insegna del riposo – per smaltire le fatiche del campionato (vinto dalla Juventus) in una località con campi da tennis, ping pong e bocce.
“Una volta tanto gli azzurri non hanno d’attorno la solita folla di amministratori e di tifosi. Sono quassù all’Alpino non già isolati dal mondo civile, che Stresa si scorge in basso, e si distinguono nitide le isole del bel lago, e sale al rifugio dei calciatori la funivia, e s’arrampicano automobili per l’erta salita, ma certo in un ambiente di pace e serenità” aveva scritto il giornalista Luigi Cavallero su La Stampa dell’epoca.
A Stresa gli azzurri arrivarono all’inizio di maggio. Sul piazzale della stazione ferroviaria si era radunata una folla considerevole. Il primo a giungere fu Meazza “assieme ad alcuni suoi colleghi dell’Ambrosiana” come riporta La Gazzetta del lago.
Su un cartello dei tifosi si leggeva “Evviva la Juventus”, ma i sostenitori bianconeri dovettero aspettare ancora un po’ di tempo per applaudire i loro idoli, che non erano nemmeno sul treno internazionale 201 delle 12,05 proveniente da Milano. L’Inter era conosciuta come Ambrosiana e in quei giorni sui giornali si leggeva che aveva messo in vendita proprio Meazza a 300 mila lire. “Il Milan lo vuol comprare, ma al Milan non lo daranno. Andrà a Roma allora! Macché vedrete, resterà all’Ambrosiana”. Questi erano i discorsi, riportati sempre da La Stampa, che facevano gli azzurri Ceresoli, Pitto e Demaria sul campo da golf dell’Alpino.
L’interista Demaria era uno dei cinque oriundi di quella nazionale insieme agli juventini Orsi e Monti, al romanista Guaita (argentini) e al laziale Guarisi (brasiliano). Renato Cesarini, rimasto famoso per i suoi gol negli ultimi minuti, a Stresa sarebbe arrivato più tardi: era ad Acqui Terme per una cura. Castellazzi ottenne un permesso per andare a Milano a dare un’occhiata al suo magazzino di ferramenta.
All’Alpino le giornate passavano tra gli esercizi di ginnastica, tenuti dall’allenatore campione d’Italia Carcano, le partite a carte, tennis e golf o al biliardino fatto recapitare da un appassionato. Qualcuno sognava un’altra vita, come l’interista Pitto: “Ho dieci biglietti della Lotteria di Tripoli e se domenica sarò milionario vi saluterò tutti quanti e me ne andrò in crociera”. Il campo di Stresa era a Carciano, vicino al Ponte del Roddo: lo stadio intitolato a Luigi Forlano – torinese di nascita ma stresiano d’adozione, tra i fondatori della Juventus – fu inaugurato solo nel 1938. Domenica 6 giugno 1934 la nazionale presenziò alla partita tra Cusiana e riserve della Juventus allo stadio del Littorio di Omegna, acclamata dai tifosi.
Ancor oggi è invece controversa la questione degli allenamenti: c’è qualcuno che sostiene che gli azzurri si fossero spinti nel 1934 anche sul campo dell’Intra, mentre La Gazzetta del lago dell’epoca parla di un invito rifiutato. La certezza è che all’Alpino, una volta scesi o per gli allenamenti o per divertimento, risalivano a bordo della ferrovia elettrica Stresa-Mottarone. «I giocatori erano alloggiati all’albergo Panorama, mentre giornalisti e seguito trovarono sistemazione al Gran hotel Alpino e all’albergo Alpino Fiorente» si legge sul libro di Andrea Lazzarini dedicato al centenario della Stresa Sportiva. Dai racconti pare che la nazionale si sia allenata anche a Lesa.
“A detta di quelli che all’epoca erano ragazzi e andavano al campo a fare da raccattapalle, la nazionale preferiva Lesa perché il campo da calcio era in campagna, nel prato davanti al Castellaccio, tutta quella zona in cui oggi sorgono le villette – racconta Gianni Lucini, giornalista e scrittore – li ricordano di corsa, in via Davicini, dove venivano scaricati dall’autobus. Venivano organizzate anche delle partitelle, si selezionavano dei ragazzi del posto pagati con cibo e scarpe”.
Nel 1938 la nazionale tornò a Stresa per un altro raduno e ancora una volta il Lago Maggiore portò fortuna: a Parigi gli azzurri di Pozzo conquistarono il secondo Mondiale.