di Giusto Buroni – Gli articoli (o i commenti dei lettori) dell’inserto milanese del Corriere della Sera spesso sono di interesse nazionale. Per l’appunto il 20 giugno troviamo un servizio che riguarda un tipo di assistenza riservata, in emergenza Coronavirus, ai molti vecchi (a Milano un abitante su quattro lo è) che abitano soli, o quasi sempre soli, in un “appartamento popolare”. E, dato che l’emergenza è mondiale e i vecchi solitari in case popolari sono senza dubbio numerosi in tutta Italia, può essere interessante parlarne anche fuori Milano.
Il passaggio d’uso, non sempre trasparente, delle case popolari
Spieghiamo uno dei motivi che portano ad avere abitanti di età media avanzata in case popolari di vecchia costruzione. Gli assegnatari di un secolo fa, che nel corso della propria vita non siano diventati proprietari di una nuova abitazione nello stesso comune, hanno diritto all’appartamento loro assegnato fino alla rinuncia spontanea o fino alla morte. In caso di morte poi il diritto ad abitare l’appartamento passa ai congiunti che siano stati conviventi per almeno tre anni prima del decesso. Per fare un esempio, i miei genitori hanno ottenuto l’appartamento nel 1939 e lo hanno abitato fino alla morte (1982 e 1997); hanno avuto tre figli, di cui solo il terzo ha creato una propria famiglia trasferendosi in altro comune, e quindi a tutt’oggi mia sorella 77enne ed io 79enne abitiamo con pieno diritto l’alloggio in cui siamo nati e vissuti, non essendo nemmeno proprietari di altri appartamenti, né in Milano, né altrove. Paghiamo l’affitto salato della massima “categoria sociale” e perciò non ci sentiamo sudditi del “padrone di casa”, che anzi ci è debitore, moroso, di tutte le manutenzioni mancate degli ultimi 80 anni. A parte questa situazione perfettamente legale, esistono tante altre “scappatoie” che, grazie alla permanenza di un vecchio “titolare” in una casa, alla sua morte fanno sì che sedicenti “eredi“, mai visti, ma appoggiati da qualche buon funzionario del Comune o altra autorevole e corruttibile istituzione, si facciano avanti dichiarando di essere sempre stati conviventi e di avere diritto all’appartamento, scavalcando ogni regola e soprattutto ogni concorso e classifica: per certa gente poter avere accesso un giorno a una casa in Milano o altra grande città vale pure il sacrificio di un genitore o un nonno ottantenne che viene lasciato nell’ambìto appartamento sempre più solo fino alla morte. Ecco perché numerosi ottantenni che “tenevano il posto” ma abitavano saltuariamente soli, sono stati sorpresi ed intrappolati dalla pandemia in appartamenti inadatti a un lungo soggiorno solitario, non foss’altro che per le numerose “barriere architettoniche”.
Cadaveri dimenticati
I vecchi delle case popolari di tutte le grandi città d’Italia hanno dunque rischiato lo stesso sterminio verificatosi nelle Rsa, ma per motiviopposti: nelle Rsa per affollamento, nelle case popolari per isolamento e abbandono (per i vecchi non esiste una Vittoria Brambilla che si batte con successo contro l’abbandono di cani e pappagalli, forse perché una campagna del genere, condotta per gli Umani, non procurerebbe abbastanza voti; e così, virus o non virus, quasi ogni settimana si ha notizia del ritrovamento di cadaveri dimenticati da giorni; e di ciò nessuno è colpevole perché i vecchi non hanno un “padrone affettuoso” da incolpare di averli abbandonati: quasi tutti hanno “solo” figli e nipoti senza scrupoli). Come mai la strage di vecchi assassinati dal virus nei quartieri popolari non ci sia ancora stata (o non sia stata ancora resa nota) ce lo dirà uno dei tanti tardivi studi dei cosiddetti “ricercatori”, che prima o poi dovranno pur dimostrare di avere occupato proficuamente il tempo del “lock down”, non essendoci nessuna ragione perché rimanessero in ozio come tutti gli altri dipendenti pubblici. È prevedibile comunque che nessuno di tali studi solleverà il problema della perdurante completa assenza, a Milano o altrove, dei fantomatici “vigili di quartiere”, che, dopo una fugace apparizione all’inizio degli anni 2000, riconoscibili dal nastrino a scacchi bianchi e rossi sul berretto, furono fatti scomparire dai sindaci di ogni colore grazie a un abile gioco di prestigio; nel senso che chi oggi ne chiedesse notizia verrebbe indirizzato a misteriosi reconditi uffici dove i famosi vigili, che non sono stati aboliti, anziché familiarizzare nel quartiere coi cittadini, si limitano a rispondere a (rarissime) telefonate.
Assistenza per telefono
Avranno preso lo spunto da questo inutile servizio telefonico quei “funzionari” dell’edilizia popolare che all’inizio del “lock down” hanno organizzato ben dieci (10) volontari (informa il Corriere) perché offrissero fino a 15 minuti di conversazione (e non di più) a ogni inquilino di case popolari che si sentisse solo e volesse sfogarsi con qualcuno raccontando le proprie disavventure, possibilmente legate al virus; si precisa che il servizio prevede solo l’ascolto dell’infelice inquilino, senza garantire un aiuto concreto (per esempio chiamare i pompieri per una fuga di gas). Il Corriere della Sera, che nell’articolo citato approfondisce e loda questo servizio, precisa, intervistando gli utenti soddisfatti, che si tratta di eccellente “aiuto psicologico” per chi a causa del virus fosse preso da un attacco di panico o di semplice sconforto. Tutto ciò sarebbe comunque lodevole, almeno nelle intenzioni, se non fosse che si tratta dell’unica iniziativa concreta presa in cinque mesi dal solerte gestore degli alloggi (e dagli “infiltrati speciali” nei quartieri) in favore dei “suoi” inquilini, vecchietti a rischio di Covid19. Che il Corriere della Sera ne faccia l’oggetto di un articolo di una pagina (elogiativa come sempre, senza riserve) fa venire il voltastomaco; ma forse anch’essi non immaginavano che quella fosse l’unica professione di solidarietà del “padrone” verso gli inquilini in difficoltà.
Il corto circuito dei messaggi su facebook
A onor del vero, altre simpatiche iniziative sono state prese dall’Aler – Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale (detentrice di metà del patrimonio popolare cittadino) durante la pandemia: la prima, immediata, è stata quella di affiggere ai portoni dei “sudditi” (considerati evidentemente incapaci di leggere o ascoltare i martellamenti televisivi) i manifesti, decorati con finti disegni infantili, con gli stupidi slogan del tipo: “io resto a casa”, “uniti si vince”, “tutto andrà bene”, “porta a spasso il tuo amico cane”, ecc. il tutto guarnito di bandierine tricolori che suggeriscono il partito che sponsorizza l’iniziativa; su altri manifesti e soprattutto sui siti facebook dei comitati di quartiere apparivano, dopo i primi decreti, gli elenchi di ciò che si poteva e non si poteva fare. Poi fu tale la confusione che neanche su facebook si poté tener dietro alle tante contraddizioni. L’affissione dei manifesti, eseguita da due “emissari” Aler ufficiali (uniforme con scritta catarifrangente e poi foto con nome, cognome e grado su facebook), a me ricordava quelle vecchie foto dove si vedono militi delle SS che segnalano la presenza di ebrei nelle abitazioni; oppure, sostituendo alle SS i “monatti”, la presenza di appestati al tempo di Renzo e Lucia (1630: 400 anni fa!). Eppure i due malcapitati “angeli custodi” si sono fatti orgogliosamente fotografare e intervistare per facebook in modo da ricevere sotto il “post” i doverosi ringraziamenti dei “sottoposti” (o piuttosto dei loro amici e conoscenti). E fu questa la loro prima e ultima apparizione ufficiale nel quartiere, nonostante la promessa di “vegliare” sugli inquilini (si saranno lasciati vincere dal sonno, se non dal virus).
Colgo l’occasione per commentare questi siti facebook gestiti dai capivillaggio o capicondominio, che ormai esistono in tutti i complessi popolari di Milano e Lombardia. Essi trattano abbondantemente, con foto e didascalie, dei vecchietti locali e dei loro problemi, ma chiaramente non ci si aspetta che siano i vecchietti a leggerli (e a corredarli di “like”). A questo pensano gli autori stessi dei “post”. Inoltre i siti sono “frequentati” da un numero trascurabile di veri abitanti del quartiere, ad alcuni dei quali è vietato l’accesso, ad altri il commento: è permesso solo esprimere il “like” o la “condivisione”; si può solo coprire l’Aler (o il partito politico a cui l’Azienda è collegata) di ringraziamenti per la “protezione” che offrirebbe ai “suoi” inquilini, soprattutto anziani e meglio se disabili: l’utente ideale è quello che “cede” addirittura al gestore del sito la licenza di usare un proprio “account” di facebook, in modo da aggiungere ai “post” extra-like e extra-commenti, di cui il vecchietto non verrà mai a conoscenza. Il numero di approvazioni dei “post” è comunque elevato, cosicché viene voglia di approfondire e si scopre che le approvazioni vengono da personaggi che nel quartiere non hanno mai abitato; cercando i loro profili si scopre che si tratta chiaramente infiltrati di altri quartieri o amici e parenti dei fedelissimi locali. In altre parole, si scopre che queste persone si comportano come se abitassero in tutti i quartieri in cui regna il partito di riferimento, in modo che è sempre molto alto il numero di “follower” inneggianti alla generosità di Aler, così come è alto il numero di “like”, di “condivisioni” e di “commenti” favorevoli dei “post”. Certamente il vecchietto, che conosce a malapena (e non pronuncia) la parola “facebook”, non è per niente interessato a leggerne i contenuti, da cui forse dissentirebbe, e così tutto va per il meglio per la propaganda. Devo riconoscere però che queste pratiche truffaldine sono diminuite in periodo di “lock-down”, forse per ordine di qualche mente più acuta del partito che ha capito che non è il caso di dare troppo nell’occhio. Ma questa intelligente precauzione ha fatto risaltare ancor più la mancanza di iniziative a favore degli inquilini in difficoltà: in pratica dopo il primo mese i post inneggianti all’Aler e al partito che sconfiggerà il virus sono scomparsi del tutto, mentre aumentavano, logicamente, le difficoltà per gli anziani.
Bandiere e bandierine sui terrazzi
Infine, sono state distribuite gratuitamente porta a porta… “mascherine e guanti?”, direte voi. Ma neanche per idea! Affabili personaggi, senza uniforme, ma di certo “autorizzati”, hanno consegnato gratis, a chi non li ha mandati al diavolo, bandiere tricolori grandi e piccole, con “cortese invito” di esporle alle finestre o di issarle sui paletti delle siepi dei giardini; in questo caso, a chi è impossibilitato a fare acrobazie per obbedire, è stato prestato l’unico vero aiuto durante la pandemia. Era previsto che si sventolassero le bandiere, con grande strepito di musiche patriottiche (ma di che patria è “Va’ Pensiero”?) emergenti da finestre e giardini, in occasione di un grande “flash-mob” di quartiere organizzato per scimmiottare a Milano quelli che fin dalla prima settimana di “lock down” si erano tenuti a Roma e altrove. Si era già svolta la “prova generale”, ma all’ultimo momento un autoritario comunicato del Comitato di Quartiere, pubblicato sempre sul facebook con contorno di faccine piangenti di delusione, annunciava che “la manifestazione era rinviata a causa della vicenda dei numerosi morti provocati dal virus”. Si noti che il comitato locale, conscio della funzione educativa della propria missione, usa il termine ricercato “vicenda”, per evocare un “fatto tragico e doloroso”; a conferma dell’asineria che contraddistingue gli anonimi estensori dei “post” (che, occorre dirlo, a volte sono stranieri). All’annuncio dello sconsiderato flash-mob proposto ai vecchietti che il giorno dopo sarebbero potuti venire intubati a causa del virus, io reclamai energicamente con lettera a quattro giornali (rivista dell’Aler compresa) che però stranamente non venne pubblicata da nessuno: l’annullamento tempestivo della manifestazione mi conferma che qualcuno “che può” (e sono in molti, fra dipendenti del Comune e dell’Aler, oltre a “talpe” nelle redazioni di giornali grandi e piccoli) intercetta anche le lettere dei cittadini, le cestina e le usa, se è il caso, a proprio esclusivo vantaggio, prendendosi gli eventuali meriti.
Cosa vogliono i “vecchietti”? Istruzioni per l’uso
Concludiamo, per essere come sempre costruttivi, con una lista approssimativa di iniziative utili che l’Azienda o il Comune avrebbero potuto prendere, a costo zero o trascurabile, vista la sbandierata abbondanza di “volontari” d’Italia, in favore dei tanto commiserati vecchietti che abitano le case dei quartieri popolari e che preferiscono la concretezza agli sfoghi telefonici con un assonnato interlocutore. Si noti che il 99% di tali vecchietti pagherebbero volentieri molti dei servizi, se solo venissero loro proposti. Dunque, il vecchietto in età avanzata, diciamo oltre i 75 anni, per non allargare troppo la platea (come usa dire oggi) dei bisognosi, ha sempre qualche malattia cronica che richiede una pesante terapia giornaliera e visite di controllo periodiche. Ecco: i più pigri dei “volontari” potrebbero prestarsi a telefonare ogni giorno per controllare che il vecchietto prenda le pillole giuste all’ora giusta e poi a ricordargli gli appuntamenti almeno con una settimana di anticipo (è vero che dovrebbe pensarci il medico di base, ma a Milano non ne conosco uno che lo faccia). Poi dovrebbe esserci il volontario disposto ad accompagnare il vecchietto male in arnese, magari costretto in sedia a rotelle, a fare ogni giorno un giretto all’aperto (come è stato garantito agli amati cani, ma esplicitamente vietato a bambini “normali” e a “vecchi a rischio”). L’organizzazione dovrebbe poi trovare mascherine e guanti per tutte le occasioni in cui sono obbligatori e anche quelle in cui non lo sono, vista la perenne sporcizia dei mezzi e dei luoghi pubblici (uffici compresi). Un compito più difficile ma di massima utilità è rimediare, almeno provvisoriamente, in attesa dello “specialista”, a incidenti domestici del tipo: lavandino ingorgato, lampadina fulminata, telefono muto, televisore fuori sintonia; ma anche invasione di formiche, di zanzare, di topi e scarafaggi. Un compito più facile e piacevole è insegnare al vecchietto a mettersi in videoconferenza con uno o più parenti o amici lontani, andando a casa sua e mettendogli a disposizione il proprio tablet (o computer portatile); naturalmente, sempre che al vecchietto faccia piacere. E poi si può aiutare il vecchietto anche a ordinare la spesa da casa (con consegna a domicilio, che era gratuita durante la fase acuta): anche per questo è sufficiente che il “volontario” si faccia dettare i prodotti per telefono e fornisca allo “shopper” l’indirizzo preciso del cliente, che pagherà contrassegno. Tutte queste telefonate, si noterà, possono anche essere un pretesto per verificare che il vecchietto sia in buona salute nei vari momenti della giornata (in gergo sanitario questo si chiama “telesorveglianza” che io applicai in modo molto rudimentale già negli anni ’80, ma oggi, con trucchetti tipo WhatsApp e Skype, è proprio “un gioco da ragazzi”). Infine, ma la lista sarebbe molto più lunga, sarebbe utile che il gestore dell’alloggio assicurasse (certamente anche in tempi normali) la necessaria sorveglianza perché nessuno venga rapinato nottetempo, in casa o per strada. All’inizio della pandemia, senza dare poi notizia degli sviluppi, il Corriere, col medesimo tono di rimprovero per le vittime e non per i malfattori, informava che alcuni malati di Covid19, dimessi dopo pochi giorni dall’ospedale, trovavano l’alloggio già occupato da abusivi, che un’organizzazione migliore di quella del Comune aveva tempestivamente avvertito dell’”opportunità”. In assenza di una reazione da parte delle autorità, è comprensibile che in casi del genere il pubblico si sbizzarrisca con le solite “proposte da Far West” del tipo “sceriffo di condominio”, “ronde di condòmini”, “intelligence locale di infiltrati”, subito appoggiate con entusiasmo da fanatici, che, col pretesto di “portare aiuto al Comune”, non aspettano altro che l’occasione di farsi giustizia da sé. Si noti che di rafforzare la vigilanza istituzionale (polizia, carabinieri, esercito) non parla mai nessuno, avendo tutti potuto verificare la costante assenza delle istituzioni, nonostante le promesse: perfino per evitare assembramenti si è proposto uno speciale corpo di 60000 “volontari” senza autorità di “pubblica sicurezza” (apprendo adesso che nei “paesi civili” si chiama “neighbour watching”), e anche questa iniziativa è finita nel nulla, perché una certa specie di volontari se non è autorizzata a menare mani e piedi non si diverte e si sente incivile.
Ancora una volta ce la caveremo grazie allo Stellone!
Infine, tralasciando le barriere architettoniche la cui eliminazione potrebbe dare lavoro a migliaia di persone in difficoltà, segnalo un servizio di importanza fondamentale, che però non è stato fornito, né sarà mai fornito, a nessuno: la segnalazione dei focolai. Per esempio i Lombardi sentono dire ogni giorno che nella loro regione si ha la maggior parte di ricoveri e di decessi, e i privati cittadini sentono passare almeno 50 ambulanze al giorno dal febbraio scorso a oggi, quando si pretende che l’emergenza sia terminata, ma né a loro, né a Piemontesi ed Emiliani, nessuno dice dove è più probabile contagiarsi. I comitati di quartiere, quasi tutti legati a partiti e quindi ad autorità comunali o regionali, dovrebbero entrare facilmente e tempestivamente in possesso di questi dati e sarebbe loro dovere renderli noti ai propri “sudditi”, in barba a pretestuose regole di “privacy”, che non dovrebbero mai prevalere sugli interessi per la salute dei cittadini. Ne nasce una situazione per cui a Codogno si sa che si deve stare alla larga dall’ospedale, mentre a Milano, che è 100 volte più grande, non è dato sapere neanche se l’Ospedale di Niguarda è diventato ospedale Covid19. E non te lo dicono neanche quando dall’ospedale telefonano, bontà loro, per avvisarti che la tua visita di controllo, prenotata sei mesi fa, è stata annullata e ti devi arrangiare a procurarti un altro appuntamento: il motivo? Non sono autorizzati a dirlo. Metto al corrente il Corriere di questa situazione, visto che il suo direttore aveva fin dal principio assicurato agli abbonati la massima qualità dell’informazione sull’evolversi del virus, ma non ottengo risposta e in compenso riscontro la seguente ennesima cantonata: un articolo strappalacrime di marzo dichiarava impraticabile per diffusione di contagio (e necessità di sanificazione) l’ospedale Cto, mentre dallo stesso Cto si comunicava ai pazienti in attesa di visite la chiusura di tutti gli ambulatori perché l’ospedale veniva riservato ai malati di Covid19 fino a fine giugno. Aggiungo che il sacerdote coadiutore della mia parrocchia, che prestava servizio anche come cappellano fra i malati del Cto, è morto di virus in marzo senza che la notizia circolasse fra gli stessi parrocchiani, i più anziani dei quali sono anche pazienti del Cto e sono certamente entrati in contatto con lui da gennaio a marzo. Insomma: se i famosi “tracciamenti” della pandemia si fanno in questo modo, che non ci vengano a raccontare che hanno scoperto dove si trovavano all’inizio della storia i pazienti “uno” e “zero”. Se ce la caveremo anche questa volta sarà come sempre per pura fortuna e non per merito della “scienza” e della Sanità nazionali e internazionali. A alcuni medici e infermieri va certo il merito di avere limitato i danni, per ora, specialmente in Italia, ma Professori (autentici o ciarlatani), Ministri, Preparatori di Campagne Elettorali, Leccapiedi, Faccendieri alla Pivetti e Intellettualoidi alla Sgarbi, e i giornalisti, che fanno a tutti loro da tramite verso i cittadini sconcertati da tanta scemenza, si sono comportati e continuano a comportarsi da cinici sfruttatori di una situazione che ha portato a tutti una popolarità immeritata (e i profitti che ne conseguono). Dei “nostri cari vecchietti”, che i più buoni hanno definito “la nostra memoria storica” e niente più non importa niente a nessuno.
Tant’è vero che tutto ciò che sa dire il Corriere in proposito è di ringraziare vivamente i telefonisti antipanico. E non creda l’illustre giornalista che non si sia notato con quanta cura e perizia nell’articolo abbia evitato ogni riferimento all’Azienda e al partito a cui l’Azienda Milanese (ma anche la stessa giornalista) si appoggia.