Alessandria (Andrea Rovere) – L’alessandrino, si sa, non è la prima meta turistica che viene in mente a chi programma una vacanza in Italia, né tantomeno può dirsi in cima alle preferenze degli stessi italiani quando si tratta di partire alla scoperta del proprio Paese.
Tuttavia, faremmo un torto a noi stessi come nativi di questo territorio se non riconoscessimo quanto di bello e buono esiste anche qui, a cominciare dal Monferrato e dalle sue colline ammantate di filari, dalla bellezza delle pievi pluricentenarie, per non parlare poi delle allegre locande che fanno capolino qua e là ovunque si guardi, dove riscoprire un po’ del profumo di un’Italia che non c’è più.
Ecco che allora non è mai facile spulciare i dati di queste parti in materia di turismo, poiché, se ad un patrimonio artistico, che non regge il confronto con altre realtà, si aggiunge una certa incapacità strutturale di valorizzare al massimo i propri gioielli, è ovvio che si resti per certi versi condannati alla penombra, in bilico fra la legittima ambizione a far conoscere il nostro valore e la paura di non esserne all’altezza. Così come non ci sentiamo talvolta all’altezza delle sfide della modernità, di ciò che poteva essere e non è stato, di quelli che ci sfottono perché l’industria da loro non è stata falcidiata come qui da noi, e si ritrovano oggi con quel “fieno in cascina” che invece ad Alessandria è andato completamente a fuoco. Come dargli torto. E infatti non lo facciamo: mastichiamo amaro e torniamo alle nostre faccende, a lavorare. Ma anche questo si rischia di farlo senza troppa convinzione, da sconfitti a prescindere.
L’agonia di Acqui Terme
Non si spiegherebbe altrimenti il crollo verticale dell’afflusso turistico registrato da una città come Acqui, le cui terme furono annoverate da Gaio Plinio Secondo tra le più importanti del mondo romano, e che vede oggi scendere addirittura del 32,66% le presenze rispetto al 2017. Per Alexala, un simile calo sarebbe da attribuire ai passaggi gestionali delle strutture termali, come del resto indica anche Mauro Bandini, vice presidente dell’Associazione Albergatori, sottolineando l’impossibilità al dialogo con i privati di Finsystems – che ad oggi detengono l’85% delle azioni della società che gestisce le terme acquesi contro il 15% ancora in mano al Comune –, ma noi tutti sappiamo che questo tipo di aspetti, pur significativi, sono solo parte del problema, e che, se tanto Acqui quanto l’alessandrino in generale se lo filano in pochi (qualche “+” si registra ad Alessandria, Casale e nel tortonese, ma sviluppare il comparto turistico è un’altra cosa), quantomeno rispetto a località più blasonate ma alle quali non avremmo nulla da invidiare, è perché della creazione di sinergie in lungo e in largo per il territorio non ci si è mai davvero occupati, evitando accuratamente di porre in atto strategie che, partendo da viabilità ed infrastrutture, sarebbero servite al duplice scopo di creare lavoro e dare prestigio alla provincia.
Valli stupende e ignorate
La vocazione turistica delle nostre valli si rifà al cosiddetto “turismo di passaggio”: la gita fuori porta, il weekend di relax fra natura e buon cibo, e poi la sosta di un paio di giorni per chi, soprattutto straniero, giunge in zona nel corso di un itinerario più ampio. Compreso questo, ci chiediamo allora a cosa possa servire darsi tanto da fare per organizzare la tal mostra di pittura se poi però si mortifica il cuore del nostro territorio, lasciando che vi cresca sopra il muschio al pari di roccia boschiva.
Il tortonese
Per intendersi, nel villaggio di Volpedo c’è una pieve romanica che fu citata per la prima volta in una pergamena del 965. Lo stato di conservazione è ottimo, e al suo interno ospita alcuni affreschi quattrocenteschi di grandissimo pregio. Solo che nessuno lo sa. O quantomeno, non la maggior parte delle persone che si trovano a passare per Tortona, alle quali nessuno rende noto che ad un tiro di schioppo, al centro del villaggio nativo di Pellizza, vi sia un gioiello che meriterebbe sicuramente una visita. E questo è solo un esempio, perché sono moltissime le sorprese che l’alessandrino può riservare. Ma quando il turista medio pensa ad un certo tipo di architettura religiosa, la mente viaggia subito alle colline umbre, non a quelle del Monferrato o della Val Curone, che tuttavia hanno anch’esse i propri tesori nascosti.
La vocazione turistica non si improvvisa
Il problema pare infatti proprio questo: la mancata volontà di creare consapevolezza attraverso un piano mirato che coinvolga tutte le amministrazioni dei centri maggiori della provincia con, di conseguenza, i loro satelliti. Se c’è, noi non la vediamo, ed è per questo che le dichiarazioni di Alexala ci lasciano piuttosto freddi. Dall’agenzia turistica locale alessandrina dicono che il riordino del sistema turistico regionale ha influito negativamente sull’attività dell’ente, che le azioni di promozione e progettuali sul territorio hanno subìto un notevole rallentamento prima della trasformazione di Alexala da consorzio a società consortile, ma ci tengono anche a sottolineare il proprio impegno ad investire risorse a supporto del turismo promuovendo ed organizzando eventi e mostre in collaborazione con i Comuni, la Camera di Commercio e la Provincia di Alessandria. Di tutto ciò, non abbiamo modo di dubitare, così come dell’impegno dell’ente. Laddove però i dubbi sono legittimi, è circa i risultati di tali strategie, poiché, a dirla tutta, è da quel dì che l’alessandrino non decolla, e non solo dal punto di vista turistico.