di Andea Guenna – La notizia è clamorosa ma non ci sorprende: i conti di Palazzo Rosso dal 2012 al 2017 sono tutti da rifare e il dissesto non c’era. L’hanno pubblicata ieri sera gli amici torinesi de Lo Spiffero che scrivono testualmente: “Rifare i conti dal 2012 al 2017. È quel che richiede la Corte dei Conti al Comune di Alessandria al termine di una lunga e approfondita disamina sull’amministrazione del quinquennio in cui la città è stata amministrata dal centrosinistra sotto la guida del sindaco Rita Rossa”. Insomma, avevamo ragione noi quando scrivevamo che i conti erano taroccati e che i politici di sinistra mentivano a danno degli alessandrini. Ho scritto un libro che denuncia tutto ciò e che si intitola appunto “Dissesto”, e forse qualcuno a Torino l’ha letto. E non solo a Torino.
Si tratta di 264 pagine documentatissime, piene di calcoli che dimostrano coi numeri che Alessandria nel 2012 non era affatto alla canna del gas e che la sinistra ha fatto approvare il dissesto senza sapere come stavano veramente le cose in quanto il bilancio di chiusura del 2010 era ancora da chiudere. E allora, su cosa si sono basati per far fallire Alessandria? Cosa hanno votato in giunta e in consiglio comunale? Le avevano lette le carte? Si erano documentati o l’operazione è stata, come scritto profusamente da me e come sembrano adombrare i giudici contabili, una gigantesca operazione propagandistica, molto ben orchestrata, complici i pennivendoli locali a tutti i livelli, per gettare fango su Piercarlo Fabbio, Luciano Vandone (nella foto) e Carlo Alberto Ravavazzano, insieme a tutto il centrodestra?
Per il solo fatto che la Corte dei Conti ha sentito il dovere di riaprire quel maledetto fascicolo, non sembra esserci molto margine al dubbio sulla sostanza della drammatica vicenda. I magistrati sono chiari e scrivono: “Si dispone che il Comune provveda a un nuovo e corretto ricalcolo dei risultati di amministrazione dal 2012 al 2017”. Laconici, precisi, risoluti, denunciano “la non attendibilità del risultati di amministrazione 2016, la reiterazione di impostazioni contabili non corrette adottate dal Comune, già dall’esercizio 2012, tali da pregiudicare qualunque attendibile valutazione nonché la stabilità finanziaria dell’ente”.
Il “senno di poi”
Ed eccoci finalmente al giorno che noi, amanti della Verità, aspettavamo da sette anni.
E la verità è che il dissesto era da evitare a tutti i costi per il semplice fatto che non c’era.
Ma che cos’è lo stato di dissesto?
Quali effetti produce?
Come avviene il risanamento del bilancio dell’ente?
La condizione necessaria per arrivare al dissesto dell’ente locale è quella d’una crisi finanziaria particolarmente grave.
Secondo il TUEL all’art. 244, comma 1: “Si ha stato di dissesto finanziario se l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero esistono nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’art. 193, nonché con le modalità di cui all’art. 194 per le fattispecie ivi previste”.
Si può parlare di dissesto non soltanto in presenza di uno stato di insolvenza, e cioè dell’incapacità dell’ente di onorare i suoi debiti, ma anche quando l’ente si trova nell’impossibilità di svolgere le funzioni e fornire i servizi indispensabili di sua competenza, cioè di garantire, al livello minimo compatibile con la giustificazione dell’esistenza dell’ente stesso, funzioni e servizi indispensabili.
Ma Alessandria nel 2012 non era in queste condizioni anche perché gli stipendi erano pagati sempre regolarmente, i servizi funzionavano e nei primi mesi del 2012 l’allora ragioniere capo del Comune dottor Paolo Ansaldi stava effettuando con regolarità i pagamenti delle fatture dei fornitori. Per cui lo stato di dissesto non era da approvare in quanto il Comune di Alessandria aveva disponibilità per assicurare, oltre ai servizi, anche gli impegni finanziari assunti; ugualmente non era da approvare il dissesto perché, come avevano dimostrato i professori Victor Uckmar dell’Università di Genova ed Elio Borgonovi della Bocconi con la loro relazione, Alessandria dimostrava, mediante l’inserimento a bilancio delle relative spese, di avere le occorrenti disponibilità per far fronte ad ogni impegno.
Ma, soprattutto, il dissesto era da evitare per tutelare i diritti dei creditori a causa dell’inevitabile e conseguente saldo parziale (40/60%) dei loro crediti.
Rita Rossa sul finto dissesto fece la campagna elettorale e gestì Palazzo Rosso dal 2012 al 2017
Niente da fare. Il dissesto fu approvato nel corso di una riunione convulsa del consiglio comunale in una maledetta notte tra giovedì 12 e venerdì 13 luglio 2012.
Dopo ben sette ore di dibattito serrato, il consiglio comunale (con la nuova maggioranza di sinistra uscita dalle elezioni) all’una e 12 minuti esatti del 13 luglio approvava il dissesto con 20 voti favorevoli su 22 presenti. Dall’aula erano usciti in momenti diversi, e per ragioni diverse, tutti i rappresentanti del Pdl con Raica (gruppo misto, ex Pdl); Barosini capogruppo dell’Udc; Berta del gruppo “Insieme per Rossa”; Cammalleri, Di Filippo e Malerba per i Grillini. I 22 rimasti sono stati Sarti della Lega e Foglino dell’UDC che hanno garantito il numero legale e che si sono astenuti, e gli altri 20 della sinistra che hanno votato per il dissesto, che sono, è bene ricordarlo: Rita Rossa (sindaca), Giorgio Abonante, Fabio Artico, Erik Barone, Marica Barrera, Fabio Camillo, Giancarlo Cattaneo, Pier Mauro Cattaneo, Daniele Coloris, Ciro Fiorentino, Maria Teresa Gotta, Claudio Lombardi, Diego Malagrino, Paolo Marchelli, Roberto Massaro, Enrico Mazzoni, Cesare Miraglia, Nicola Savi, Silvana Scaiola e Filippo Zaio.
Tutto era iniziato l’anno prima con le osservazioni della Corte dei Conti per i bilanci 2009, 2010 e 2011, ma la perizia voluta dalla maggioranza e redatta da Uckmar e Borgonovi aveva indotto la stessa Corte dei Conti ad attendere ulteriori sviluppi di tutta la vicenda.
Gli eventi avevano rallentato il loro corso e tutto s’era fermato fino a quando, nel mese di aprile, Fabbio e Vandone presentavano alla Corte di Torino il piano di rientro in due anni (2012-2013) attuato attraverso i seguenti interventi:
1. incasso di otto anni di concessione per il servizio di raccolta e trasporto rifiuti vinto dall’ATI (Associazione temporanea di impresa) Amiu – Iren pari a 15.000.000 di euro;
2. incasso di otto anni di concessione per il servizio di smaltimento rifiuti (attualmente svolto da Aral Spa) per altri 15 milioni di euro;
3. incasso di circa 10 milioni di euro per ruoli suppletivi (multe, ICI, tassa sui fabbricati fantasma registrati dal catasto); Incasso di circa 20 milioni di euro per IMU degli anni 2012 – 2013;
4. incasso di altri 10 milioni di euro circa (5 + 5) per la vendita di immobili Comunali;
5. incasso di altri 80 milioni di euro derivanti dalla concessione delle reti gas (Amag – Alegas).
Il tutto faceva un totale di circa 140 milioni che avrebbero consentito alla città di riprendersi secondo i piani previsti da Luciano Vandone.
Ma quel piano è rimasto lettera morta perché il centrodestra ha perso le elezioni del 2012 e dall’altra parte, dopo una campagna elettorale marcatamente segnata dalle accuse, anche personali, rivolte a Piercarlo Fabbio ed alla sua Giunta, colpevole di aver portato la città al default, la sinistra non poteva più tornare sui suoi passi ed il dissesto è stato politicamente ed elettoralmente inevitabile.
Un processo politico di stampo staliniano
Il processo contro l’ex sindaco di Alessandria Piercarlo Fabbio, l’ex assessore al bilancio Luciano Vandone e l’ex ragioniere capo del Comune di Alessandria Carlo Alberto Ravazzano era partito male, condizionato dai pregiudizi dovuti ad una disinformazione vergognosa, orchestrata dalla sinistra d’accordo con la stampa locale e nazionale. Solo noi di Alessandria Oggi abbiamo combattuto fin dall’inizio con tutte le nostre forze, senza fermarci mai e rimettendoci molto in quanto ci avevano fatto il cordone sanitario intorno. Ma abbiamo resistito e la verità sta arrivando, lenta ma inesorabile come sempre. Bastava aspettare e tener duro, stare sul pezzo e, grazie ad amici che ci hanno dato una mano, abbiamo ancora il privilegio di raccontare la verità.
Andando a guardare per un attimo le carte processuali, risulta che, dopo un dibattimento che aveva prodotto grossi problemi alla costruzione della prova, che evidentemente, a sentire bene la difesa, non c’è stata, il 19 febbraio 2015 è toccato all’avvocato Claudio Simonelli delineare il quadro generale normativo in cui si inquadrano i fatti.
Ha iniziato con una domanda e una risposta.
La domanda: “la disciplina del patto di stabilità interno è un architrave della contabilità dello Stato”?
La risposta: “No, perché cambia ogni anno, si modifica, gli stessi legislatori ne parlano con dispregio”.
Come abbiamo visto prima lo “scivolamento a bilancio”, che oggi è legge, ieri era comunque consentito a particolari condizioni e l’interpretazione stava tutta qui, cioè se una spesa o un’entrata potesse scivolare oppure no.
Oggi sarebbe colpevole non fare ciò che Vandone ha fatto, come avevano fatto gli assessori al bilancio delle Giunte precedenti, anche di quella con Mara Scagni, la grande accusatrice, sindaca (2002 – 2007) quando assessore era Sandro Tortarolo e ragioniere capo Lorenzo Barbin.
Nessuno aveva mai avuto modo di dire una parola. Non Ezio Brusasco consigliere comunale del Pd, presidente della commissione bilancio dal 2007 al 2011, così attento “ad orologeria”, non i revisori, non la Corte dei Conti e neppure Zaccone, autore delle manovre dal 2009 al 2011.
Come Simonelli per Fabbio ha chiesto l’assoluzione, anche Luca Gastini ha chiesto l’assoluzione piena per Ravazzano, andando ad individuare puntualmente ciò che ogni reato richiamato dal pm avrebbe dovuto presumere e che invece non si è realizzato.
La verità è che, spostando quelle cifre, il professor Luciano Vandone aveva rimediato ad un errore della ragioneria che si era “dimenticata” di chiedere alla Regione Piemonte la compensazione verticale che avrebbe permesso di rientrare evitando lo sforamento del Patto di Stabilità.
Fabbio, Vandone e Ravazzano, così facendo, hanno evitato lo sforamento del Patto a tutto vantaggio degli alessandrini. Ma in procura non l’hanno capito.