di Marco Ciotola (Money.it) – L’uscita ufficiale del Regno Unito dall’Unione Europea si avvicina a grandi passi. Manca molto poco a quel 29 marzo stabilito per il definitivo ’leave’, eppure sono ancora diversi gli elementi che sembrano mancare in vista di quella data.
A ricordarlo, proprio nelle ultime ore, c’è stata l’iniziativa presa da una folta rappresentanza di aziende britanniche, che ha chiesto a gran voce un voto sulle modalità di uscita tramite la formazione del gruppo «Business for a People Vote».
Tra le compagnie UK è infatti diffuso il timore di un’uscita dall’UE senza accordi e la pressione per un voto che possa esprimersi su una gamma di opzioni che vanno da una hard Brexit a una soft Brexit si fa sempre più forte.
Mentre Londra e Bruxelles sperano di concludere un accordo nel mese di novembre, un lungo comunicato firmato dalle aziende UK mette in guardia sulle potenzialità catastrofiche derivanti da una hard Brexit sul fronte commerciale.
Sono stati più di 70 gli uomini d’affari a chiedere un voto pubblico sulle condizioni definitive di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, avvertendo sulle “potenzialità distruttive” di un ’leave’ privo di accordi.
Il rischio, secondo il gruppo «Business for a People Vote», è anche quello che i politici sottoscrivano un’intesa in grado di limitare l’accesso delle aziende ai mercati europei.
Il collettivo, da poco formatosi, include Justin King, ex numero uno della catena di supermercati Sainsbury, e John Neill, alla guida di Unipart.
Secondo questi una hard Brexit vorrebbe dire muoversi a occhi bendati verso uno scenario potenzialmente distruttivo per il Paese, che in ogni caso potrebbe subire un drastico calo degli investimenti:
“Le prospettive sarebbero pessime per gli uomini d’affari e per i lavoratori, e visto che nessuno dei due ha partecipato al voto del 2016, crediamo che venga restituita una scelta definitiva con un voto popolare”.
Ma dal governo britannico è stata ancora una volta ribadita la fiducia verso la costruzione di un accordo che “funzioni per le imprese”, evidenziando l’opposizione da parte dell’esecutivo a un secondo referendum:
“Il Regno Unito ha già avuto voce in capitolo in uno dei più grandi esercizi democratici a cui questo Paese abbia mai assistito, e il primo ministro ha chiarito che non ci sarà un secondo referendum”.