È L’ALFIERE DELL’ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO CHE È IL CUORE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA: PER QUESTO È FATALE CHE MONTI ABBIA FORTI LEGAMI IN VATICANO
di Marco Cobianchi
Milano (da Panorama.it) – “Ma quale Trilaterale? Ma che gruppo Bilderberg? Ma quale Goldman Sachs e finanza internazionale pseudomassonica…”. La marcia di avvicinamento di Mario Monti verso la categoria esistenziale degli italiani più ammirati all’estero non è lastricata dalla partecipazione a misteriosi club antidemocratici, ma da ben più prosaiche amicizie nostrane. La biografia di MM è nota: a 22 anni è già laureato in economia all’Università Bocconi, subito dopo parte per Yale, dove studia con il premio Nobel James Tobin; poi torna in Italia nel 1969, in tempo, ma riesce a evitare la contestazione studentesca, a insegnare nelle Università di Trento e di Torino. Ed è qui, a Torino, che inizia la sua ascesa. Inevitabilmente entra in contatto con il mondo Fiat e, ad appena 26 anni, viene notato dai due “viceré” sabaudi, Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti, custodi dell’impero di Gianni Agnelli.
In quegli anni stringe amicizie importanti, tutte nell’ambito accademico: tra queste quelle di Mario Deaglio, ordinario di economia internazionale, di sua moglie Elsa Fornero, vicepresidente del consiglio di sorveglianza della Banca Intesa e docente di economia politica, e di Terenzio Cozzi, presidente dell’Associazione degli economisti italiani.
Le amicizie sono quelle giuste e non possono non portare all’ingresso nella corte di Agnelli che, dopo il suo rientro a Milano come docente della Bocconi, lo nomina nel consiglio d’amministrazione della Fiat nel 1988, ad appena 45 anni. L’anno dopo diventa rettore della Bocconi ed entra nei Cda anche della Comit, grazie a Francesco Cingano, e delle Generali. Da tutti i Cda si dimette in concomitanza con lo scoppio di Tangentopoli.
Il giro milanese di Monti si incentra su quel motore immobile del potere che è stato per decenni Ariberto Mignoli, scomparso nel 2003, avvocato della Mediobanca e presidente del patto di sindacato nell’istituto fondato da Enrico Cuccia. Da lì a Piergaetano Marchetti il passo è un soffio. Marchetti, presidente della Rcs, lo introduce alle colonne del Corriere della sera, il giornale per il quale scrive editoriali, nel 1992 raccolti in un saggio ormai introvabile: Il governo dell’economia e della moneta (Longanesi), uno dei pochissimi libri che portano il suo nome come autore.
Le amicizie, compresa quella con Romano Prodi, sono le più classiche. Un po’ meno classica è la sua dottrina economica. Non è liberista e non è keynesiano: Monti è uno dei pochissimi economisti italiani, assieme per esempio a Stefano Zamagni (non a caso è circolato il suo nome come ministro dello Sviluppo), seguace dell’economia sociale di mercato, una dottrina economica nata in Germania negli anni 40 che coniuga liberismo economico e giustizia sociale esaltando il ruolo regolatore dello stato.
Monti, da questo punto di vista, è “economically incorrect”. Su Lavoce.info, influente sito d’informazione economica guidato da Tito Boeri (che ha sprezzantemente definito l’economia sociale di mercato “un metodo scientifico per socializzare le perdite e privatizzare i profitti”), non è citato praticamente mai. Idem su Noisefromamerika, il sito liberista dei docenti italiani negli Stati Uniti guidato da Alberto Bisin, per i quali quella teoria nemmeno esiste. Probabilmente lo pensa anche il più illustre dei suoi allievi, Alberto Alesina.
Le sue amicizie torinesi verosimilmente gli hanno provocato qualche imbarazzo quando assunse, su mandato del governo di Massimo D’Alema, l’incarico di commissario europeo alla Concorrenza tra il 1999 e il 2004 (nei cinque anni precedenti era stato commissario al Mercato interno su mandato del primo governo di Silvio Berlusconi). In quel ruolo doveva firmare la concessione di aiuti di stato alle imprese e la Fiat, proprio in quegli anni, incassò sussidi come non mai. Tra il 1999 e il 2002 Monti si trovò a valutare ben otto richieste di aiuti pubblici provenienti dal Lingotto. Alla fine cinque vennero accolte e tre bocciate.
Quelle accolte furono a vantaggio di Pomigliano d’Arco (39,6 miliardi di lire concessi nel 1999), Termoli (54 miliardi nel 1999), Mirafiori Carrozzeria (69 miliardi concessi nel 2000), Melfi (78 miliardi concessi nel 2001) e per l’Iveco di Foggia (121,6 milioni di euro concessi nel 2002). In totale, l’ex consigliere d’amministrazione della Fiat concesse qualcosa come 500 miliardi di lire dell’epoca alla sua ex azienda, mentre i tre aiuti bocciati valevano un totale di 131,6 miliardi. In quegli anni deve essersi slogato il polso a forza di firmare aiuti di stato e per un liberale come lui non deve essere stato piacevole, tanto che alla fine del mandato disse: “Bisogna autonomamente passare da un’economia assistita a un’economia competitiva”.
Da commissario Antitrust viene soprannominato SuperMario, anche se non mancano le sconfitte: per tre volte il giudice del Lussemburgo dà il via libera a tre fusioni tra multinazionali bocciate da Monti. Tre scivoloni nella sua carriera, che rivelano un approccio quantitativo al problema della concorrenza (quanto può ingrandirsi un’impresa) e meno qualitativo (quali sono i vantaggi dell’allargamento).
Nel 2004, dopo 10 anni trascorsi nelle nebbie del Belgio, MM torna alla Bocconi dove riprende gli studi sull’economia sociale di mercato che è il cuore della dottrina sociale della Chiesa: per questo è fatale che Monti abbia forti legami in Vaticano. Il suo cardinale di riferimento è sempre stato Camillo Ruini, ex presidente della Conferenza episcopale italiana. È amico anche di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior e consulente del Papa nella stesura finale dell’ultima enciclica “Caritas in Veritate” che Monti ha accolto, non a caso, anche come un trattato economico oltre che come un documento dottrinario.
Attorno a lui, nel tempo, si è creata un’aura di sacralità, tanto che i suoi interventi pubblici sono definiti goliardicamente dai suoi colleghi come “l’ostensione del sacro Monti” e il suo ufficio alla Bocconi è chiamato “il tabernacolo”.
Cattolico, ma non buonista, MM non è antipolitico perché non ha mai fatto politica, bensì perché per lui politica e disciplina contabile sono grandezze che coincidono e assumono addirittura una prospettiva religiosa. È così perché “impedendo ai politici di gravare con il disavanzo e il debito pubblico sulle generazioni future, rispondono a un grande principio cristiano, che è quello della solidarietà”.
E non è europeista perché non crede nell’Italia, ma perché per lui l’obiettivo di ogni singolo paese dovrebbe essere quello di cedere sovranità politica, dopo avere ceduto quella monetaria: “I passi avanti dell’Europa sono cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario” ha detto in un discorso alla Bocconi all’inizio di quest’anno. Il suo orizzonte, insomma, è l’Europa e in questo è in perfetta sintonia con l’ex commissario europeo Emma Bonino, esponente dell’unico partito anticlericale italiano, i radicali.
Monti interpreta la crisi economica in modo inedito: è l’occasione per gli stati di diventare migliori. Per questo ha detto che “un giorno la crisi della Grecia sarà ricordata come il più grande successo dell’euro” perché sarà l’euro a riportare la Grecia e l’Italia sui binari della disciplina di bilancio. E chi non ci crede mette in crisi l’euro più di quanto non abbiano fatto le scorribande di Atene e il debito pubblico italiano.
Per questo le sue critiche più dure, in questi ultimi anni, MM le ha riservate alla Germania, che non ha creduto nelle capacità taumaturgiche della moneta unica. “Anche l’agosto 2011 italiano, non è un altro successo dell’euro?”, si è chiesto in una conferenza, riferendosi alle quattro riscritture della manovra economica fino a quando proprio l’Europa non ha accettato l’ultima, la più dura.
A proposito: fra Monti e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti mai nemmeno uno sguardo, così come rapporti non proprio idilliaci legano il prof a Berlino e Parigi. Alla Germania, da commissario, ha imposto di togliere la garanzia statale esplicita sulle casse di risparmio e alla Francia ha imposto di vendere alcuni asset strategici della Alstom prima di nazionalizzarla. Angela Merkel e Nicolas Sarkozy non l’hanno presa bene, anche perché hanno provato a contraddirlo, cosa che lui non sopporta.
Nel 2007 chiamò Gianemilio Osculati, ex capo della McKinsey Italia, alla carica di amministratore delegato della Bocconi della quale era presidente. Due mesi dopo Osculati se ne andò. Non si è mai capito bene perché: si parlò di un litigio sul costo delle rette universitarie. Di certo si sa solo che tra i due ci fu un breve faccia a faccia. Nel tabernacolo di MM”.
N.B.: Per par condicio vi invitiamo a cliccare qui per aprire il sito della lista di Giulio Tremonti: http://www.listalavoroliberta.it/sito/
Leave a Reply
Devi essere connesso per inviare un commento.