di Andrea Guenna – Il 25 aprile 1945 finiva per l’Italia la seconda guerra mondiale. È certamente una data da ricordare come la fine di un incubo, anche se non penso sia da celebrare perché l’Italia quella guerra l’ha persa.
“Ma noi festeggiamo la liberazione” mi risponde qualcuno, mentre ricordo che, per esempio, mio padre Alberto, deportato in Germania nel campo Stalag III A di Luckenwalde, il 25 aprile del 1945 non poteva far festa in quanto sarebbe tornato a casa solo il 29 agosto. Vivo, a differenza dei 50.000 italiani deportati come lui che sono morti in Germania.
25 aprile di chi? Non certo di tutti gli italiani perché, oltre ai deportati di cui nessuno si ricorda e che erano circa 800.000, anche per gli oltre 500.000 Ragazzi di Salò quel 25 aprile non è una festa, non è da commemorare.
E allora chi l’ha sempre commemorato e lo commemora? Di loro sponte, all’inizio, sono stati i circa 52.000 partigiani (il dato è dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano) in stragrande maggioranza social-comunisti (25.000 delle Brigate Garibaldi, 15.000 di Giustizia e Libertà) mentre il resto annoverava 10.000 autonomi di area di centro (principalmente cattolici), e 2.000 tra socialdemocratici, repubblicani e liberali. Poi si sarebbero aggiunti quelli saliti sul carro del vincitore grazie ai quali i partigiani, di colpo, da 52.000 che erano, diventarono circa 300.000, proprio a guerra finita.
In seguito, quella del 25 Aprile è diventata una commemorazione politica monopolizzata dai comunisti che, a mano a mano che i vecchi partigiani passavano a miglior vita, rimpinguavano le file dei partecipanti alle varie cerimonie con iscritti al Pci e all’Anpi.
La guerra è stata un tremendo disastro. D’accordo, lo so, ma so anche che l’Italia è la nazione che di morti ne ha avuto meno di tutte le principali nazioni belligeranti europee, e che circa la metà dei suoi 350.000 caduti sono stati vittime dei bombardamenti alleati (Usa e Gran Bretagna), quegli stessi alleati che poi abbiamo accolto pieni di gioia e a braccia aperte quando hanno invaso le nostre città. Eravamo vittime della propaganda e di Radio Londra e non conoscevamo la verità che sta venendo fuori a fatica anno dopo anno.
E allora, senza nulla togliere alla validità storica e morale del 25 Aprile, data certamente da rispettare anche se, per chi scrive, riesce difficile condividerne i contenuti culturali e politici, mi permetto di ricordare il bombardamento di Alessandria avvenuto domenica 30 aprile 1944 per il quale, proprio il 30 aprile, cioè fra cinque giorni, come ogni anno da cinque anni a questa parte, il Comune di Alessandria consentirà che a mezzogiorno le campane della Chiesa di San Giovanni Evangelista (Mons. Claudio Moschini), allora unica Chiesa del Rione Cristo, e le campane delle Chiese del Cristo costruite nel dopoguerra, cioè la Chiesa di San Giuseppe Artigiano (Salesiani – Don Gianfranco Avallone), delle Cabanette (Salesiani) e di San Baudolino (Mons. Giovanni Guazzotti) suonino a lutto. Da quest’anno alle quattro chiese dovrebbero aggiungersi le Chiese di San Michele e dell’ Annunziata (Mons. Ivo Piccinini), di San Pio V e del Cuore Immacolato di Maria (Don Giuseppe Bodrati).
Penso che sarebbe ancora più bello se tutte le campane della città, comprese quelle di Palazzo Rosso, a mezzogiorno del 30 aprile rintoccassero all’unisono nel ricordo di quel terribile bombardamento e, ancor di più, nel ricordo delle vittime del contestuale e vigliacco mitragliamento aereo da parte degli “Alleati” nei confronti di inermi civili, compresi vecchi, donne e bambini che uscivano a mezzogiorno dalle chiese dove si erano recati per la Messa. Non paghi, tra l’1 e il 2 maggio, gli Angloamericani tornarono con una seconda incursione aerea per lanciare bombe incendiarie. In totale i morti furono 239. In quella triste circostanza andarono distrutti Palazzo Trotti e la Michel, molti i danni al Duomo e a S. Alessandro.
Per questo non bisogna dimenticare e si attende che il Comune rinnovi la tanto auspicata autorizzazione alla commemorazione perché sarebbe bello sentir suonare le campane in tutta la città. Speriamo che sia così e che questo si ripeta per sempre perché, quella sì, è una celebrazione che unisce, invece di dividere com’è quella del 25 Aprile.