Torino – Il processo d’appello contro Montedison-Solvay potrebbe concludersi a taralucci e vino. Come è stato del resto per la Eternit e la ThyessenKrupp che hanno avuto un unico seguito: la nomina dei giudici protagonisti di quel fallimento, dopo il pensionamento (Guariniello, Barbuto) come “esperti” dei ministeri e delle istituzioni più varie, con compensi favolosi.
La commedia della Solvay è iniziata ad Alessandria ed è ora approdata a Torino in Appello: prossime udienze 4 e 11 aprile prima della sentenza.
Un’enorme sacca sotterranea d’acqua inquinata
Come si ricorderà è dai tempi della Montedison che nel sottosuolo, tra Spinetta Marengo ed Alessandria c’è una gigantesca sacca d’acqua, letteralmente avvelenata, alta come un palazzo di tre piani, dalla quale attingono le colture degli ortaggi e della frutta che mangiamo; e con la quale, probabilmente, si dissetano gli animali che macelliamo e con cui facciamo i formaggi.
Già durante la seconda guerra mondiale i Tedeschi analizzavano l’acqua della Pederbona prima di far abbeverare i cavalli.
È stata avvelenata per decenni e decenni con la continua immissione di ogni genere di porcheria da parte dello stabilimento chimico di Spinetta (prima della Montedison e ora della Solvay). Non solo col famigerato Cromo Esavalente ma, ad esempio, col principio attivo della Trielina. Tanto per farsi un idea, per prendere il Cancro da Cromo Esavalente bisogna bere 2,4 litri d’acqua inquinata al giorno; per prenderselo dal principio attivo della Trielina basta bere la punta di un cucchiaino d’acqua inquinata.
Carlo Cogliati poteva intervenire è non l’avrebbe fatto
Il principale imputato del processo è Carlo Cogliati, l’amministratore delegato della Solvay, quello che aveva la possibilità di interrompere l’iniezione di veleni e non lo avrebbe fatto; quello che all’occorrenza poteva dire “fermiamo tutto che stiamo uccidendola gente” e non lo avrebbe fatto.
È stato assolto principalmente perché il Pubblico Ministero Riccardo Ghio aveva ottenuto il rinvio a giudizio suo e di altri per il delitto di cui all’art. 439 c.p. “avvelenamento di acque o di altre sostanze destinate all‘alimentazione” (pena: da 15 anni all’ergastolo), ma il Tribunale di Alessandria, presieduto da Sandra Casacci, sostanzialmente ha detto: è vero che avete avvelenato sostanze destinate all’alimentazione, ma siete stati rinviati a giudizio solo per “avvelenamento di acque destinate all‘alimentazione”. E, dato che per “acque destinate all’alimentazione” bisogna intendere solo quelle da bere che escono dal rubinetto (che attingono da altre sorgenti e non sono risultate eccedere i livelli di avvelenamento consentiti dalla legge), dobbiamo assolvervi.
In compenso sono stati condannati a due anni per un reato colposo minore (che ormai è prescritto) altri soggetti di secondaria importanza.
La cantonata del pm Ghio
Cogliati invece l’ha scampata. E dato che ad agosto compie ottant’anni, il suo ciclo vitale, statisticamente parlando, si sta concludendo. È difficile immaginare che possa vedere la fine di questo processo. Quando morirà lui, anche il reato si estinguerà e buona notte al secchio.
Un altro pm, in questa situazione, avrebbe fatto tesoro di quello che dice la sentenza del Tribunale e, visto che è stato proprio il Tribunale a riconoscere che sono state avvelenate sostanze destinate all’alimentazione (ma non l’acqua da bere), avrebbe aspettato il passaggio in giudicato della sentenza per 45 giorni e poi avrebbe chiesto il rinvio a giudizio di Cogliati, sempre per l’art. 439 c.p. ma, questa volta, per “avvelenamento di sostanze destinate all’alimentazione”.
Si sarebbe risparmiato un sacco di tempo e i danneggiati avrebbero potuto essere risarciti.
Invece Ghio ha voluto appellare la sentenza e sostenere a tutti i costi che quella montagna sotterranea di acqua in realtà è destinata all’alimentazione perché è una riserva strategica di acqua del Comune di Acqui Terme.
Ma, nonostante le apparenze, in questo modo si favorisce la Solvay e si danneggiano i cittadini che non avranno mai giustizia.
Un processo senza testi
Quello che però rende bene l’idea di quale sarà l’esito del processo, è il comportamento della Corte d’appello di Torino.
Secondo la Cassazione (e la convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), se si vuole condannare in appello qualcuno che è stato assolto in primo grado (o comunque peggiorare la sua situazione) bisogna risentire nuovamente i testimoni.
E dato che Ghio ha chiesto la condanna di soggetti che, come Cogliati, erano stati assolti in primo grado, la corte d’appello, nello stabilire il “calendario delle udienze”, avrebbe dovuto, per prima cosa, prevederne qualcuna per risentire i testi (a meno che non si decida prima se assolvere o condannare e poi, eventualmente, se sentire i testi – per capire perché lo si fa).
Invece, di udienze per sentire i testi non ne è stata prevista neanche mezza. Subito a discussione: prima il pm poi le parti civili, poi i responsabili civili ed ora è la volta dei difensori degli imputati.
Sorge un interrogativo: perché niente testi ? Forse perché si è già deciso di assolvere Cogliati?, o forse perché lo si vuole condannare offrendogli su un piatto d’argento l’occasione per fare ricorso per Cassazione ?(la quale, vedendo che non sono stati sentiti i testi, annullerà l’eventuale condanna, rinviando ad altra sezione della Corte d’appello di Torino perché provveda).
E poi, ovviamente, di nuovo in Cassazione.