Gli zucchini sono diventati zucchine, il campanello della scuola una campanella; in compenso le dottoresse sono diventate dottori e le architette architetti. E le facce sono diventate faccie.
di Andrea Guenna
Alessandria – Qualcuno diceva che chi non sa portare le proprie armi prima o poi finirà per portare quelle degli altri e, analogamente, si può affermare che chi non sa parlare la propria lingua finirà, prima o poi, forse non per parlare quella degli altri ma, sicuramente, per esprimersi in un idioma imbarbarito ed infarcito di neologismi inutili. E, per analogia estensiva, si può affermare ancora che chi non sa apprezzare la propria lingua non sa neppure difendere la propria storia e la propria cultura, nonché la Patria cui appartiene, la propria dignità. Naturalmente si fa riferimento all’Italia, agli italiani – se esistono – e all’italiano, la lingua forse più completa e musicale del mondo, che ci invidiano tutti, frutto di circa quattromila anni di civiltà, che inizia cogli Etruschi, passando dai latini che hanno lavato i propri panni in Grecia, continua col “dolce stilnovo” di Dante e Petrarca per giungere fino al Manzoni che invece i suoi panni li ha lavati in Arno. Insomma, una storia importante, di cui andare fieri. Tuttavia le giovani generazioni stentano, per esempio, anche solo a coniugare il congiuntivo, cui preferiscono, per facilità, l’indicativo quando va bene, altrimenti usano il condizionale sfasciando la sintassi. Annaspano con perifrasi infinite per esprimere anche i concetti più elementari, dimostrando di non avere padronanza della lingua. E la cosa sembra contagiare anche i giornalisti che dovrebbero essere i migliori conoscitori dell’italiano in quanto, come per il muratore la cazzuola, per il falegname la pialla, per il fabbro la saldatrice, la lingua è per loro lo strumento di lavoro più importante. Così, per esempio, da un po’ di tempo sento dire in TV e leggo sui giornali che il campanello di scuola è diventato una campanella: “quando suona la campanella”, “è suonata la campanella per l’ultima volta”, e via di seguito. Si tratta di un errore, più che di grammatica, di cultura generale, perché la campanella è una campana piccola col batacchio che si fa suonare scuotendola, mentre il campanello è elettrico, proprio come quello della scuola, che si fa suonare premendo un pulsante. Non basta perché gli zucchini sono diventati zucchine (anche Wikipedia è caduta nella trappola) confondendoli con le zucchine che sono ovviamente delle piccole zucche e sono tonde. Non è finita perché fra le varie “facezie” di neologismi che nascono ormai senza ritegno e a sproposito, abbiamo falcidiazione invece di falcidia, preziosità invece di pregio, emozionale invece di emozionante o emotivo. Ma anche affluenti per emergenti, criticità per difetto o difetti, indubitabilmente per indubbiamente, traguardare per passare, soluzione di continuità per interruzione, razionalità per ragione, effettività per realtà, sintomatico per indicativo, buonista per fiducioso. Potrei andare avanti ma non voglio infierire. Aggiungo solo una considerazione sui termini importati da altre lingue come per esempio il francese (francesismi). Nelle frasi negative, che in italiano vogliono il non abbinato all’aggettivo (o anche al pronome) nessuno, invece di: non si è fatto cenno a nessun difetto, oppure: non ha dato nessun segnale, o: non ha fatto nessuno sforzo; oggi diventano disinvoltamente, alla maniera della lingua francese: non si è fatto cenno ad alcun difetto, oppure: non ha dato alcun segnale, o: non ha fatto alcuno sforzo. Ma dal francese ormai abbiamo importato anche il verbo venire al posto dell’italianissimo verbo essere: sono censurati, sono accolti, sono dipinti; diventano: vengono censurati, vengono accolti, vengono dipinti. Insomma, è un vero disastro. Ma una totale capitolazione s’è consumata recentemente a “Porta a Porta Prima Serata” di Bruno Vespa (RAI UNO) , quando Alessandra Ghisleri, saccente direttrice di Euro Media, parlando della nuova discesa in campo di Berlusconi, ha esibito un cartello dove si leggeva d’un sondaggio inerente la rinnovata scelta del Cavaliere e, ad un certo punto, a proposito delle tre ipotesi prese in considerazione, in basso c’era quella di un progetto politico che “richiami a Forza Italia” – e qui c’è già il primo strafalcione perché il verbo richiamare è transitivo per cui non serve il dativo ma l’accusativo e si deve scrivere “richiami Forza Italia” senza la preposizione semplice a – ma si leggeva ancora: “una squadra di giovani e faccie nuove”, e qui sono quasi svenuto, perché scrivere faccie è sbagliato! Davvero! Ricordo la regoletta del cia e del gia che vuole il mantenimento della i al plurale solo se prima del cia e del gia c’è una vocale. Su faccia, prima del cia non c’è una vocale ma una consonante, la c, per cui al plurale faccia perde la i e diventa facce. Come quercia – querce, lancia – lance, provincia (con buona pace di Cariplo) – province; di converso se c’è una vocale la i resta, come per camicia – camicie, valigia – valigie, ciliegia – ciliegie.
Leave a Reply
Devi essere connesso per inviare un commento.