Nonostante il caldo non possiamo esimerci da alcuni commenti sulla catastrofe finanziaria che ha travolto il Comune di Alessandria non fosse altro per averla più volte annunciata nei nostri articoli. Quanto avvenuto al Comune di Alessandria più che un fallimento economico viene da considerarlo la prevedibile conseguenza finale di una vera e propria sindrome distruttiva opera di razziatori di passaggio mai prima verificatosi, almeno nel nord Italia, da parte di roditori stanziali inevitabilmente costretti a subire le conseguenze, anche giudiziarie, del proprio agire. Non per niente i mandrogni dei tempi eroici, non certo candidi angioletti, certe cose le commettevano il più lontano possibile da casa, meglio ancora se in un paese straniero. Cosa allora neanche troppo complessa visto che i territori mandrogni confinavano con ben quattro nazioni differenti. Anche se alcuni si preoccupano di minimizzare l’accaduto, non bisogna dimenticare che la spoliazione del Comune di Alessandria è stata solo l’antipasto di un ben più ricco banchetto le cui portate comprendono la ancora più pingue Cassa di Risparmio, nonché l’abbattimento, assolutamente illegale, del ponte della Cittadella distrutto, oltre che per voracità, anche per mostrare il proprio potere di tipo mafioso, senza avere nemmeno i soldi per ricostruirlo. A questi vanno aggiunti il Teatro, svuotato da una falsa bonifica, e più autentici tesori cittadini, parsimoniosamente accumulati dalle valide amministrazioni passate come le farmacie comunali, la casa di riposo ed innumerevoli alloggi svenduti a prezzi stracciati. Come se non bastasse a tutto questo bisogna aggiungere le spese fuori bilancio per pagamenti sospetti quanto illegali, nonché i debiti contratti con le banche dando in garanzia edifici pubblici a prezzi fuori mercato tramite società di cartolarizzazione. Poiché il peggiore stupido è chi si crede furbo senza esserlo, i furbetti comunali si sono anche illusi di aggirare l’obbligo dei bilanci in pareggio facendo rozzamente indebitare le municipalizzate al posto del Comune. Artificio grossolano iperconosciuto, logorato dall’uso, non in grado di ingannare proprio nessuno. Essendo sorti problemi sulla suddivisione del ricavato finì che ognuno voleva la propria municipalizzata personale anche per farne voti con il sottogoverno delle assunzioni di personale inutile. E così ne fecero ben 36, suddivise tra tutti i partiti e relative correnti, tramite un apposito manuale Cencelli in versione alessandrina. Personalmente non abbiamo dati esatti su quanto assomma il loro indebitamente complessivo poiché ogni giorno che passa si scoprono nuovi buchi nei loro bilanci. Non è però errato ritenere che il totale equivalga o superi quello dell’indebitamento del Comune. A questo punto c’è da chiedersi come mai i massimi responsabili partecipanti a questa marcia della follia non si siano resi minimamente conto di stare strozzando l’intera gestione comunale, autentica gallina dalle uova d’oro, che dava loro da vivere più che bene e li aveva tratti dall’oscura banalità di una vita inesistente. Ma non potevano farlo, come se il loro destino fosse già stato scritto e rigidamente segnato poiché, al di fuori dei luccicanti orpelli del potere e l’apparente tracotanza nel tratto che derivava dalla carica ricoperta, erano solo degli omuncoli, dei pupi incapaci di volontà propria agli ordini di chi, da fuori, dopo avere usato Alessandria come trampolino di lancio, continuava a tirare le fila e gestiva la danza con mano spietata lasciandoli brucare sugli avanzi del suo banchetto, facendoli anche brillare di luce riflessa in modo di dar loro la responsabilità ufficiale di ogni scelta effettuata tirandosene fuori personalmente. In merito ci è tornata alla mente una famosa frase di Napoleone che di certe cose se ne intendeva:”Chi ruba un tallero è un ladro, chi ruba un regno è un re”.
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