di Alessandro De Pascale
Roma – I traffici della nostra criminalità organizzata sono ritenuti una possibile minaccia dagli Stati Uniti. Lo rivelano numerosi cable «riservati», diffusi da Wikileaks, dai quali emerge il pressing di Washington per convincere il governo italiano a dotare i nostri porti di speciali scanner che possano controllare tutti i container in transito e rilevare eventuali radiazioni. Si tratta del cosiddetto progetto Megaports, lanciato dal Dipartimento dell’energia a stelle e strisce, per prevenire il traffico di materiale nucleare ed eventuali attacchi terroristici. Nella lista dei Paesi a rischio stilata da Washington è finita da tempo anche l’Italia che, per evitare gli scanner, ha schierato un vero e proprio «arsenale burocratico», con i ministeri e i vari enti pubblici che avrebbero messo «i bastoni tra le ruote», tramite il solito «scaricabarile».
Febbrili trattative tra Washington e Roma, raccontate in due cable del 2009 scritti da Elizabeth Dibble, allora potente funzionario dell’ambasciata Usa in Italia che ora gestisce i rapporti con l’Europa. La stessa che, in un altro cablogramma di quell’anno, giudica il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, «incapace, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno». Per la Dibble «il traffico di materiale nucleare è una minaccia nuova, motivo per cui gli italiani la ritengono una misura eccessiva». A Washington chiede di «far capire al governo italiano, incontrando esponenti politici di destra, i benefici di questa tecnologia, dimostrandogli che se non la installeranno avranno problemi». Anche perché la legge statunitense stabilisce che «entro il 2012, il 100 per cento dei container diretti negli Usa debbano essere sottoposti a radioispezioni».
Il sistema Megaports è nato nel 2003 ed è già stato installato in 27 scali del mondo. L’amministrazione statunitense vuole arrivare a 100 entro il 2015. Consente di controllare tutte le merci in ingresso e in uscita dai porti. Sulla questione si è fatta sentire anche l’Unione europea, secondo cui gli Usa dovevano negoziare direttamente con Bruxelles prima di montare gli scanner nel Vecchio Continente e non ricorrere ad accordi bilaterali con i singoli Paesi. Così ha avviato una procedura di infrazione contro gli Stati Uniti. Washington però è andata lo stesso avanti continuando a chiedere invano al nostro Paese di installare questo sistema. In Italia «sono già falliti due precedenti tentativi nel 2004 e nel 2006, per i dubbi delle autorità, le troppe autorizzazioni necessarie e con la scusa che la sicurezza è di competenza dell’Unione europea».
Nella lista Megaports figurano i porti di Gioia Tauro, La Spezia, Livorno e Genova. Proprio in quest’ultimo scalo a gennaio è strato bloccato, perché risultato radioattivo, un tir diretto in Sardegna, altri due camion nel 2007. In tutti e quattro i porti già operano ufficiali della dogana americana in base alla Container Security Initiative (Csi), lanciata in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Ad essere controllati, secondo la funzionaria Usa con «evidenti lacune», sono tuttavia solo i container ritenuti a rischio, diretti negli Usa. Perché nel nostro Paese «non c’è certezza che i carichi vengano ispezionati».
C’è poi la criminalità organizzata. «Nostre fonti ci dicono che nel porto di Gioia Tauro», che con i suoi 3 milioni di container all’anno è tra i maggiori d’Europa, «hanno occhi ovunque, perché lo usano per i traffici di droga e armi, tanto che due agenti della dogana sono stati trasferiti per le minacce ricevute, forse erano troppo zelanti nei propri controlli: al primo gli hanno sparato, mentre il secondo ha ricevuto due proiettili a casa», si legge ancora nel cable. «Due importanti imprese hanno abbandonato Gioia Tauro – aggiunge il report riservato – per trasferirsi in uno scalo nel Nord del Paese. Il sospetto è che abbiano preso questa decisione per evitare di pagare il pizzo alla criminalità». Per la Dibble, i nostri doganieri e gli agenti delle forze dell’ordine sono «troppo vulnerabili alla corruzione, perché guadagano poco». Proprio per questo «teniamo molto al progetto e preferiamo mettere in moto la nostra diplomazia, piuttosto che attendere il lavoro delle agenzie internazionali», spiega ancora il cablogramma. Vista la tradizionale presenza delle mafie nel Mezzogiorno, la Dibble consiglia all’amministrazione Usa di inserire anche Napoli nella lista degli scali Megaports. «Dobbiamo coinvincere gli italiani che serve anche a loro, oltre che a noi», continua il cable. «Del resto in seguito al disastro nucleare di Chernobyl gli italiani avevano comprato alcuni portali, meno efficaci di questi, per verificare i container provenienti dalla Russia, ma oltre ad effettuare una scansione meno completa la maggior parte sono inutilizzati», si lamenta la Dibble. A cambiare le carte in tavola è il fallito attentato del Natale 2009 sul volo Amsterdam-Detroit che fa scattare un «campanello d’allarme anche in Italia». Per gli Stati Uniti è l’occasione giusta per tornare alla carica.
Lo rivela un terzo cablogramma del 15 gennaio 2010, firmato direttamente dall’ambasciatore Usa a Roma, David H. Thorne. Pochi giorni prima il diplomatico aveva incontrato il premier, Silvio Berlusconi, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Entrambi gli avevano «assicurato» che per i nuovi scanner sarebbe a breve arrivato il «via libera». È l’8 gennaio 2010 quando il Consiglio dei ministri approva Megaports. Funzionari Usa incontrano poi il direttore dell’Agenzia delle dogane, Giuseppe Pelaggi. E nel marzo successivo viene firmato il memorandum d’intesa. La sperimentazione è partita prima dell’estate, ma per ora soltanto nei porti di Genova e Gioia Tauro.
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