Diamo un’occhiata all’ultimo bilancio AMAG, senza dovere necessariamente far fede alle trionfali informazioni passateci dai giornali di servizio o solo da quei cronisti che si affidano troppo fiduciosamente alle parole diffuse in conferenze stampa ad hoc. Non è detto che sbaglino, ma la probabilità che non sia svolto un approfondimento necessario è troppo alta e rischiosa, soprattutto per i lettori.
Com’è andata per il gruppo nel 2015? Non malaccio, ma meno bene, ad esempio, che nel 2013. Il fatturato è stato infatti di 36,5 milioni nel ’15, ma fu di 37,3 nel ’13.
In realtà però nel 2013 l’azienda spese di più: 34,5 milioni, mentre nel 2015 si è contenuta a 32,7. Come ha fatto? Ha realizzato razionalizzazioni, ha esercitato una profonda spending review, anche se oggi neppure più Renzi crede a questa tecnica, rivelatasi disastrosa? Non è proprio così.
Il vero risparmio l’azienda l’ha realizzato sulle imposte e sugli ammortamenti di beni immateriali (dalle spese notarili, a quelle di ricerca e sviluppo, da quelle pubblicitarie, concessioni, sfruttamento dei marchi, brevetti, ecc.), che passano, per gli anni presi in considerazione da 1,8 milioni di euro a 560 mila (2014) fino a toccare i 395 mila del 2015.
È indice di salute? Non necessariamente anche se aumenta il valore della produzione dopo che nel 2014 si era affievolito a 34,2 milioni.
Indipendentemente dall’utile netto (2,5 milioni nel 2015, ma 2 milioni nel 2014 e 1,5 nel 2013), ottenuto con una ridottissima pressione fiscale applicata – da circa 4 milioni costanti a 1,2 nel 2015 – probabilmente non ripetibile e dovuta a trascinamenti o recuperi, l’azienda ha speso di più per il personale, circa 6 milioni di euro. Del resto i dipendenti sono passati dai 155 del 2011 ai 160 attuali e questo in barba alle polemiche scatenate dalla sinistra nei confronti dei passati amministratori che, come Lorenzo Repetto, si è anche presa la soddisfazione di vedere annullata – perché illegittima – la deliberazione che manu militari lo estrometteva da uno dei suoi incarichi. Segno che certe politiche non si potevano fare, ma si sono fatte lo stesso e non vedo in giro che qualcuno, che oggettivamente ha sbagliato, venga additato come colpevole e sottoposto al pubblico ludibrio come è successo in passato.
Sul versante del personale, da notare come nell’AMAG dei quotati manager che la sindaca ha ripetutamente cambiato e che da qualche tempo hanno trovato una loro stabilizzazione da alcuni dichiarata “fassiniana”, sono aumentati gli impiegati e diminuiti gli operai. Un altro segnale di come si orienta l’azienda ormai trasformata in holding, quindi sempre più indirizzata alla strategia e sempre meno all’operatività. A questo si aggiunga che il costo medio per ogni dipendente è aumentato da 48 a 53 mila euro dal 2013.
Infine la dinamica dei debiti e dei crediti. Lo spread – cioè la differenza fra le due voci – nel 2013 era di circa 16,9 milioni di euro, nel 2014 di 12,2 milioni, mentre nel 2015 ha toccato il punto più basso con 9,6 milioni. Purtroppo rimangono alte le sofferenze di chi non paga le bollette, cioè i clienti: siamo ancora intorno ai 21 milioni e il dato non ha avuto sostanziali variazioni, segno che le persone fanno sempre fatica a pagare gas e acqua.
La riduzione dello stock di debito da 70 a 60 milioni dal 2013 al 2015 è invece sostanzialmente dovuto ad una netta riduzione dei debiti tributari da 10 milioni a 1,1, ma una più attenta lettura della nota integrativa alla quale rimando potrebbe sciogliere anche questi dubbi. Magari ci ritorno la prossima volta. Per ora ombre e luci.
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