Milano (Gianni Dragoni) – Nella prima metà di quest’anno i mercati finanziari mondiali hanno subìto la più grande distruzione di ricchezza degli ultimi 30 anni. Il valore complessivo delle azioni nelle Borse globali è crollato di 25mila miliardi di dollari, da 122mila a 97mila miliardi. Quello delle obbligazioni è diminuito di 9mila miliardi (da 69mila a 60mila miliardi). Le criptovalute, che secondo l’improvvisazione di pseudo-esperti avrebbero dovuto liberare chi le utilizza dalla dipendenza dalle banche, sono andate più giù, hanno perso due terzi del valore, oltre 2mila miliardi (da 3mila sotto i mille miliardi).
“Si è chiuso il peggiore semestre finanziario dagli anni ‘70”, è un titolo del Sole 24 Ore. I principali mercati azionari hanno perso circa il 20%, come per esempio la Borsa di Milano, quella di Francoforte, l’indice principale della Borsa di New York (S&P 500). Londra ha perso solo l’1%, mentre se guardiamo il Nasdaq, la Borsa dei titoli tecnologici americani, in media le quotazioni hanno perso il 29,2%, con punte del -90% per 220 titoli. Hanno guadagnato solo le azioni delle aziende che fabbricano armi.
Perché questo accade? I mercati temono l’inflazione e la recessione. Tutto questo non avviene per la forza di eventi soprannaturali o ineluttabili. La causa principale di questo andamento negativo è la guerra. L’inflazione si era già mossa prima, ma è esplosa dopo l’inizio della guerra della Russia in Ucraina. In gennaio l’inflazione negli Stati Uniti era il 6,1% su base annua, in Italia il 4,8 per cento. In giugno negli Usa è arrivata all’9,1%, nell’eurozona ha raggiunto l’8,6%, il livello più alto da quando c’è l’euro. E in Italia l’inflazione è balzata all’8%, mai così alta dal 1986.
Il governo e i giornali e televisioni che ci irrorano con l’informazione ufficiale preferiscono parlare di inflazione “da energia”. Ma cos’è che ha fatto impennare il prezzo dei prodotti dell’energia e quello delle materie prime, sconvolgendo l’economia di molti paesi? La guerra e il suo prolungamento a oltranza, alimentato dalle massicce forniture di armi degli Stati Uniti e dei paesi europei a Kiev, hanno avuto come conseguenza l’impennata soprattutto del prezzo del gas. La Russia è il principale fornitore dei paesi dell’Unione europea, Italia e Germania più di tutti.
Un anno fa il gas costava 20 euro per megawattora al mercato Ttf di Amsterdam, la borsa europea del gas sulla quale, come in ogni mercato finanziario, incidono anche la speculazione e le aspettative. Negli ultimi giorni il prezzo è arrivato fino a 183 euro. In un anno è aumentato di nove volte. E non c’è solo il problema del costo. La Russia ha ridotto le forniture di metano ai paesi europei, gli stessi che hanno applicato le sanzioni economiche a Mosca e che forniscono armi all’Ucraina perché resista alle bombe di Putin. Dal prossimo autunno in Europa si rischia di soffrire una scarsità di gas. Questo porterebbe alla necessità di razionare il gas, con danni per le aziende, che sarebbero costrette a ridurre la produzione e probabilmente taglierebbero l’occupazione, e con il rischio di lasciare al freddo scuole, ospedali, case.
Gli economisti ci spiegano, nelle loro disquisizioni, che l’inflazione negli Stati Uniti è partita prima ed è diversa da quella europea, è provocata dalla domanda, cioè dalla ripresa dei consumi dopo la pandemia. Invece da noi è causata, come detto, dal rincaro del metano, del petrolio e delle materie prime in conseguenza della guerra.
Ma l’effetto finale temuto è lo stesso negli Usa come in Europa: recessione e quindi più disoccupazione. Poiché per raffreddare l’inflazione la banca centrale americana, la Federal Reserve, ha già rialzato i tassi d’interesse e intende continuare a farlo, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha ammesso che questo può provocare una recessione dell’economia. Per ridurre l’inflazione il presidente Biden pensa perfino di revocare i dazi sulle importazioni di prodotti dalla Cina che aveva messo Trump tra il 2018 e il 2019. Dazi (dal 7,5 al 25%) che secondo la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, sono stati inutili, perché non hanno rallentato le importazioni. Anche la Bce intende alzare i tassi, in misura più contenuta. L’aumento dovrebbe essere di almeno 0,25 punti percentuali il 21 luglio, un altro è previsto in settembre. I mercati temono che la recessione arrivi prima in Europa che negli Stati Uniti.
Per questo soffre anche l’euro. La quotazione rispetto al dollaro è ai minimi da 20 anni. Ieri, 18 luglio, il cambio era di 1,012 dollari per un euro, dall’inizio dell’anno l’euro ha perso circa il 10 per cento. Questo vuol dire che per le importazioni di prodotti con il prezzo espresso in dollari, per esempio il petrolio ma anche molte materie prime, noi paghiamo di più. Al contrario le aziende italiane e dell’eurozona, se vendono in paesi dell’area dollaro, incassano di meno.
Anche l’economia russa soffre. Secondo il Fondo monetario internazionale il Pil quest’anno dovrebbe diminuire dell’8,5%, nei primi sei mesi la Borsa di Mosca ha perso il 41 per cento. La Russia però ha più soldi in cassa, perché l’aumento dei prezzi del metano e del petrolio le fa incassare di più anche se ne vende di meno. Il rublo è la valuta che gode di miglior salute nel mondo, la quotazione rispetto al dollaro è ai massimi da 4 anni, si è rafforzato del 31,8 % dall’inizio di quest’anno. Alessandro Penati ha scritto sul Domani che l’Occidente sta perdendo la guerra finanziaria alla Russia “perché non ha una valida strategia, fa confusione sugli obiettivi che vuole raggiungere e manca di coordinamento e unità di intenti”.
Aggiorniamo i calcoli che vi abbiamo già riferito il 24 giugno fatti dal Crea, un centro di ricerca sull’energia con base in Finlandia: dall’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio a oggi, i paesi dell’Ue hanno pagato alla Russia per comprare petrolio, gas e carbone più di 70 miliardi di euro.
Così Putin può continuare a finanziare i costi di una guerra molto dispendiosa.