In Piemonte un giovane su 5 è un Neet, acronimo che sta per “Neither in employment, education or training”. Ha tra i 15 e i 34 anni, non cerca lavoro, non ne ha uno e ha smesso di studiare. La fotografia arriva dai dati di Welfare Italia Index ed è confermata dall’analisi 2020 dell’Osservatorio mercato del lavoro della Regione. La situazione dei Neet in Piemonte (19,8%) è migliore della media nazionale (un giovane su 4) ma peggiore nel Nord-ovest (18,5%).
Torino (Cristina Palazzo de La Repubblica) – La sfida oggi è capire come intercettare i campanelli d’allarme di questi giovani prima che entrino nelle tristi classifiche. Il gruppo di “ricerc- azione” InCrease lo fa puntando lo sguardo sulle scuole che – come emerge dalla ricerca nel libro “Prima di diventare invisibili. Prevenire a scuola il fenomeno dei Neet” presentato al Salone del Libro – la metà dei ragazzi ha pensato di cambiare e uno su tre addirittura di abbandonare. La fotografia porta a riflessioni ma anche ad azioni, come il progetto triennale Ue per formare “flank motivator” che affianchino in tempo chi esprime disagio.
La ricerca di InCrease è approdata a scuola prima della pandemia con un questionario a 900 studenti delle superiori del Piemonte, della Valle d’Aosta e della Liguria “per individuare se ci siano disagi che anticipano dispersione scolastica e abbandono” spiega Guido Lazzarini, professore di sociologia dell’Università di Torino e presidente onorario dell’associazione. Nella ricercaè stata puntata la lente su voci come il ruolo della scuola, il bullismo e la difficoltà di parlarne in famiglia. Emerge che la metà dei ragazzi ha pensato almeno una volta di cambiare istituto, uno su tre di lasciarlo proprio. Non solo: il 25 per cento circa ha detto di essersi sentito vittima, in modo più o meno serio, di bullismo. E il 16 per cento ha dichiarato di non sentirsi appoggiato dalla famiglia.
“È la fotografia del momento a cui possiamo riagganciarci dopo la spaccatura pandemica”, spiega Luigi Bollani, docente di statistica sociale di Unito. Nel questionario infatti c’è una distinzione per tipologia di scuola e situazione familiare. “Abbiamo notato che tra i “privi di disagio” ci sono più studenti dei licei oche hanno uno o due genitori diplomati o laureati. Situazione migliore per le donne e per le scuole piemontesi rispetto alle altre regioni”, sottolinea Bollani. Cresce però il disagio “tra gli studenti di istituti tecnici e professionali o con genitori disoccupati a basso titolo di studio. Cresce anche l’incertezza sul proseguimento degli studi”, aggiunge ancora. C’è un altro dato, da registrare seppur non rilevante a livello statistico: “Sei studenti su 900 non hanno indicato il sesso nel questionario. Sono tra coloro che hanno espresso più disagi”.
La situazione non è rosea ma, come sottolineato durante la presentazione, spinge ad agire. “Una strada potrebbero essere presidi e sportelli nelle scuole per il supporto psicologico chiarisce Bollani. Ma anche i “flank motivator”, come racconta la ricercatrice Emilia Caizzo, tra le autrici dell’opera, “affiancatori con competenze trasversali che sappiano intercettare bisogni espressi e inespressi di giovani che rischiano di sfuggirci”.
Il progetto “Riconnettersi” è triennale, coinvolge le aziende e i ragazzi “che vivono un cortocircuito sociale per realizzare un modello di interventoefficace”.