Fra le tante cose che noi, padani d’Alessandria, dobbiamo trangugiare, c’è un cocktail disgustoso, un intruglio fatto di ignoranza e presunzione, di arroganza e totale insensibilità, che caratterizza molti politici locali e molti loro consulenti. Il fatto grave è che questi signori, e signore, per le loro attività devastanti e funeste sono lautamente pagati. Si tratta anche di cifre a cinque zeri che certi politici elargiscono a piene mani soprattutto per motivi di complicità nel ladrocinio istituzionalizzato: la mia tangente è di centomila, a te – che mi consenti l’affare col tuo parere – vanno 10.000; devo costruire un palazzo di 12 piani in una zona che sarebbe da preservare, ma se tu dichiari che la zona è edificabile ed io riesco a costruire, ti regalo tre appartamenti: uno per te, uno per i tuoi genitori ed un altro che puoi affittare o vendere. E avanti così finché questa nostra povera città non sarà completamente devastata. È una vecchia storia che riguarda, non solo Alessandria, ma tutta l’Italia. Una storia che risale alla notte dei tempi. Già Dante aveva modo di scrivere sull’Italia (che allora non era ancora una nazione ma un’entità geografica come l’ha definita il Metternich, e noi aggiungiamo anche entità comportamentale) così: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” Purgatorio VI-76. E noi italiani, che abbiamo il privilegio di abitare nella nazione di gran lunga più bella del mondo, che tutto il mondo ci invidia, ci permettiamo di sfregiarne la cultura e la tradizione facendo finta che la storia non significhi nulla, che la tradizione sia uno sport per conservatori rimbambiti, che il futuro radioso e pieno di certezze sia solamente un voltar pagina ed andare avanti a tutta velocità anche senza sapere dove si va. Così, solo per parlare dell’ultimo periodo, ad Alessandria hanno coperto con tre metri di calcestruzzo una necropoli medioevale per costruirci sopra una schifezza in vetro e acciaio, hanno demolito due ponti settecenteschi in attesa di costruire un’altra schifezza di ponte in acciaio sul Tanaro, mentre ad Acqui Terme si stanno preparando a costruire un bel palazzone sulle fondamenta di un antico insediamento romano del primo secolo. E la Sovrintendenza cosa fa? Niente. Anzi no, qualcosa fa, perché pare abbia imposto, ohibò, all’impresa costruttrice, di aprire dei finestroni in cantina che diano la possibilità a chi passa di ammirare i resti romani. Sì, ma chi passa di lì? I condomini che vanno a prendere il bottiglione di barbera in cantina a mezzogiorno. E neppure tutti i giorni. Ed ecco che un’importante testimonianza della nostra storia (che, si badi bene, è l’unica cosa buona che abbiamo) è sepolta da tonnellate di calcestruzzo.
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