Roma – Riunione al calor bianco ieri in Confindustria tra Acciaierie d’Italia e i sindacati sulla richiesta di cassa integrazione straordinaria per 3.000 lavoratori su 10.150 in organico. L’amministratore delegato Lucia Morselli (nella foto) non ha mollato sull’impostazione dell’accordo sul tappeto dell’assetto societario e dell’acquisto degli asset per consentire al gruppo siderurgico italiano di finanziarsi. Lucia Morselli ha detto: “Il problema per il siderurgico di Taranto non è sulla facoltà d’uso degli impianti ma sulla possibilità di comprarli”, tenendo presente che entro maggio non sarà possibile né la salita al 60% di Invitalia in società, né l’acquisto degli impianti oggi gestiti in affitto. Ormai è abbastanza chiaro che il dissequestro degli impianti non potrà arrivare prima del completamento del piano ambientale, cioè nell’agosto del 2023. Ciò determina scelte importanti sul fronte della cassa integrazione che servirà al gruppo di recuperare ciò che è andato perso e concentrare le risorse su investimenti come il rifacimento dell’altoforno 5 e il forno elettrico. Altro nodo al pettine sono gli stanziamenti di Stato: 400 milioni all’anno per due anni, 800 milioni in tutto, di cui per Genova e Novi Ligure solo 72 milioni in due anni, con l’obiettivo di passare da 4,4 milioni di tonnellate di acciaio del 2021 a 5,7 milioni nel 2022, per finire a 6 milioni nel 2023. Il tutto con solo tre altoforni accesi a Taranto: Afo1, Afo2 e Afo4. Va da sé che la priorità, in queste condizioni, vada per la produzione della latta, anche se con questi numeri è chiaro che gli interventi non consentano un rafforzamento dei siti produttivi. Per questo, secondo i sindacati, sarà difficile firmare un accordo di cassa integrazione straordinaria che potrebbe portare a migliaia di licenziamenti.