In nessuna città italiana l’ignoranza ha guidato lo sperpero più demente come ad Alessandria. In nessuna città italiana i detentori delle più alte cariche hanno agito in modo contrario al più elementare buonsenso. In nessuna città italiana il processo mentale intelligente è stato prostituito alla più brutale stupidità. Dal turpe connubio di questi fattori nasce il fallimento del Comune nonché l’illusione ,propria dei miserabili che si credono furbi ma furbi non sono, di poter fare debiti e di evitare di pagarli confondendo a parole i creditori. E questo vale per tutti, dalle singole persone alle città e agli stati. Il nostro breve viaggio nella follia e nel malgoverno alessandrino, che non è certamente solo dell’oggi, ma ha radici ben più antiche, inizia da Spinetta, sobborgo industriale di Alessandria. La sua origine è legata alla mitica battaglia di Marengo, ma non ha proprio nulla a che fare con la gloria e l’eroismo che tanto hanno ispirato gli storici, se non in modo del tutto indiretto e certamente non voluto da parte dei protagonisti. Benché non venga riportato sugli attuali libri di storia, ai tempi della battaglia di Marengo era norma, dopo i grandi scontri che costavano decine di migliaia di morti, macinare le ossa dei caduti per ricavarne fosfato e calcio con cui concimare i campi le cui rese agricole erano inaccettabilmente basse. Dato che la fame era grande non si andava tanto per il sottile pur di poterla evitare il più possibile. Poiché c’era acqua in abbondanza (l’alessandrino, come è noto, era un ex palude bonificata dai Ghilini) e di ottima qualità, terminata la produzione dei fosfati per mancanza di materie prime, si passò a quella del tannino. La materia prima era fornita dalle botti di un pessimo vino popolare prodotto in zona. Produzione a cui porranno termine anni dopo le malattie della vite che sterminarono la nostra vinicoltura nella seconda metà dell’800. E fu così che nacque l’industria chimica alessandrina ancora oggi la più importante della città. Proprio quell’acqua, principale ricchezza del territorio, che il più elementare buonsenso avrebbe dovuto conservare con l’amore che si dà ad un neonato, per incuria, ignoranza e voracità si lasciò inquinare per sempre. Era infatti norma corrente utilizzare rifiuti di lavorazione contenenti cromo altamente tossico per mettere in piano le zone di espansione dello stabilimento. Da qui i liquami percolavano nella prima falda di alimentazione dei pozzi mediamente a meno di nove metri di profondità. E ben presto finì inquinata anche la seconda falda protetta da un terreno sabbioso altamente permeabile. A pagarne le conseguenze fu la popolazione civile che per anni ebbe i pozzi inutilizzabili per uso alimentare. E bevve il cromo senza saperlo. Mentre il locale zuccherificio che consumava moltissima acqua e non poteva più approvvigionarsi, come aveva sempre fatto, dai propri pozzi sottostanti, preferì trasferire la produzione in altri stabilimenti facendo perdere ad Alessandria centinaia di posti di lavoro. Oggi le macerie dello zuccherificio (nella foto) abbandonate da decenni, autentico monumento allo spreco, si possono ammirare con le loro finestre e porte prive di infissi lungo la strada che porta al centro di Alessandria. Strada insufficiente, inaccettabilmente affollata di traffico che, sul suo lato destro ha ancora le tracce dei tempi ormai lontani in cui la nostra città era all’avanguardia in Italia sia come industrie sia come trasporti. Si era infatti prevista una linea tranviaria metropolitana a vapore che univa l’area industriale con la città e svolgeva una positiva funzione per il trasporto sia degli operai che dei residenti. Poi, durante il fascismo, l’avanzata tranvia fu sostituita con una pista ciclabile che fu eliminata del tutto in questi ultimi decenni. Ciò che è avvenuto potrebbe prendersi come simbolo di Alessandria e di come abbia percorso all’indietro il cammino della storia e del progresso. Speriamo solo di non arretrare ulteriormente finendo, dopo essere partiti da una delle prime metropilitane, alla trazione animale o agli schiavi con le portantine, come nel Medio Evo. Gli schiavi sono già a disposizione e li stiamo importando con l’aiuto della Mafia dal Medio Oriente e dall’Africa. Sempre proseguendo verso il centro storico si incontra a destra il forte che prende il nome dal fiume Bormida. Il forte fa parte della serie di fortificazioni che a partire dal trattato di Utrecht del 1713 caratterizzarono Alessandria la cui costruzione durò fino all’Unità d’Italia, 1861, facendo della città il principale baluardo contro l’invasione del Piemonte (Cittadella, forte Acqui, forte Ferrovia nonchè una cinta di mura le cui ultime propaggini furono demolite nel dopoguerra, negli anni 60). Prima di passare il Bormida occorre volgere lo sguardo a sinistra, in località Molinetto, in cui una dirigenza di incoscienti ha dato il permesso di scoperchiare la principale falda di approvvigionamento dell’acquedotto creando dei laghi che, con comportamento criminale, si vorrebbe colmare con le terre di scavo del Terzo valico (Continua).
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