Sofia, Sophia, la Loren, chiamiamola come vogliamo: il 20 settembre Lei ha compiuto novant’anni. Simbolo della bellezza italiana nel mondo, la nostra iniziò la sua carriera, non ancora sedicenne, partecipando alla gara di bellezza “Regina del mare”, ideata dal giornalista Arturo Assante nel 1949: non vinse, ma tredici anni dopo si consolò ritirando l’Oscar come miglior attrice protagonista per La ciociara di Vittorio De Sica. O meglio, vinse sì, ma non andò a ritirare la statuetta perché, testuali parole, “mi ero detta: se vinco svengo, e allora tanto vale svenire a casa”.
Ma a dire il vero gli svenimenti pareva procurarli soprattutto in chi l’ammirava. Tra questi non poteva mancare Giuseppe Marotta, scrittore, giornalista, critico cinematografico (“Marotta Ciak”, la sua rubrica sull’Europeo, durò dal 1958 fino al 1963, l’anno in cui morì) e, soprattutto, grandissimo estimatore della bellezza femminile. Nell’estate del 1959 Marotta scrisse (di nuovo per l’Europeo) il ritratto di tre “vamp”, come allora si chiamavano, che a suo parere non solo avevano segnato la storia del cinema e del costume del Novecento, ma avevano anche popolato i sogni e plasmato i desideri di tutta un’epoca. Una di queste vamp (le altre due erano Brigitte Bardot e, manco a dirlo, Marylin Monroe) era proprio lei, Sofia. Per renderle omaggio, Marotta finge di andare a spasso per la sua amata Napoli a raccogliere giudizi sul suo conto. In una di queste occasioni, mentre sorbisce una deliziosa granita locale seduto da Caflish, storica caffetteria partenopea, interroga il barone G., il quale sentenzia: “Per carità, non discuto il valore di Sofia. Ma avete letto ieri le sue dichiarazioni ai giornalisti parigini? Afferma che nessuno la batte nel flamenco e soggiunge: ‘Non sono poi tanto bella. Ho il naso troppo lungo e la bocca troppo grande… ma c’è il resto, no?’”. Ed è proprio tutto il resto che fa tutto: lo sapeva bene Giuseppe Marotta e lo sapeva benissimo anche suo nipote (e mio padre) Massimo Casolaro, che a sua volta quasi ci rimise uno svenimento. Permettetemi oggi, come se fossi io, stavolta, il barone G. seduta al tavolino del Caflish, di raccontarvi una storia di famiglia.
All’epoca mio padre aveva circa diciotto anni ed era un giovane e intraprendente fotoreporter. Viveva a Milano, sua città natale (il cognome Casolaro, ereditato dal padre Giuseppe, pittore e illustratore e cognato di Giuseppe Marotta). Un giorno si seppe che Sophia Loren era in città. Mio padre, che non si lasciava scappare nulla (come mi diceva, “a me piace essere sempre aggiornato”), trovò il modo di raggiungere la diva. Non solo! La fotografò sull’uscio, in vestaglia. Uno splendido scatto in bianco e nero. “Fu uno svenimento vederla di primissima mattina, al naturale” non mancava di dire, rievocando quel momento. “Una scultura che toglie il fiato”. In quanto a me, vidi quella foto solo “in foto”, sul cellulare, una volta che mi trovavo a Grosseto dove mio padre, giornalista ed editore, abitò negli ultimi vent’anni di vita. Quella foto fu il suo primo successo, una conquista che ebbe risonanza su vari fronti: un’autentica benedizione. Peccato che nessuno di famiglia, che io sappia, ne ha una copia: tutto è svanito nei transiti di vita, inevitabilmente.
I ritratti delle tre “vamp” sono stati raccolti per la prima volta da Avagliano Editore nel volume Le bellissime del 2004, e recentemente ripubblicati dall’editore Polidoro. In quanto a voi, nuovi lettori, aspetto i vostri ricordi, aneddoti e “chicche” al mio indirizzo mail: cla.casolarte@gmail.com
Si ringraziano gli eredi delle nostre famiglie e tutti i collaboratori che hanno partecipato alla ricerca di documenti in Fondazioni, Archivi storici e delle Parrocchie.