Roma – Secondo i tecnici dei ministeri dell’industria e dell’economia per far ripartire l’ex Ilva servirebbe un miliardo di euro entro la fine dell’anno. È del tutto evidente che non essendoci i soldi il saldo sarà a carico di chi comprerà il gruppo siderurgico, mentre il compito dei commissari è garantire una produzione accettabile, visto che a Taranto funziona solo un altoforno – che peraltro è stato riacceso due giorni fa dopo uno stop per manutenzione – e portare l’azienda a un livello minimo in vista della vendita. Il governo vuole cedere l’Ilva nel giro di sei mesi, ovviamente i potenziali acquirenti pretendono una società senza debiti. Intanto per l’amministrazione straordinaria sono stati inseriti 150 milioni nel decreto Agricoltura proprio con lo scopo di assicurare la continuità operativa degli impianti, un importo che rappresenta una goccia nel mare. Si tratta di soldi che giacciono sul fondo speciale costituito col patrimonio che i Riva avevano portato all’estero e usato in questi anni per finanziare la bonifica. Tornando alle ipotesi di rilancio dell’acciaieria, i commissari stanno lavorando alle fonti di finanziamento per coprire i 500 milioni: se Bruxelles non darà l’OK al prestito ponte da 320 milioni bisognerà contrarre nuovo debito. Negli ultimi giorni tre potenziali investitori hanno visitato i siti principali di Taranto, Genova e Novi Ligure. Si tratta degli ex ucraini oggi russi di Metinvest, degli indiani di Vulcan Steel e Steel Mont. L’obiettivo dell’esecutivo è vendere l’Ilva in un blocco unico, negando qualsiasi ipotesi di “spezzatino”: la logica è quella di tenere tutto unito perché Genova e Novi Ligure sono ritenute complementari a Taranto.
Ilva in vendita ma c’è un buco di mezzo miliardo
