Novi Ligure (Franco Traverso) – Ormai i giochi sono chiari: i francesi ci hanno fregato un’altra volta. Hanno speso quattro soldi e poi hanno tirato indietro il braccino e l’ex Ilva sta saltando per aria. L’azienda siderurgica un tempo migliore del mondo, fondata a fine ‘800 a Novi dalle famiglie Bonelli e Cavanna che avevano un punto di attracco per le navi a Genova che trasportavano il ferro dall’isola d’Elba (Ilva in latino) è in agonia. I franco-indiani di Arcelor-Mittal hanno fatto il giochino finanziario più vecchio del mondo: l’hanno comprata per tre soldi, ma poi quando è stato il momento di rilanciare hanno ritirato le fiches e il banco è saltato. Il piano era quello di demolire la ex Ilva e realizzare due impianti gigantesci in Normandia e in India che si papperanno la clientela dell’ex Ilva.
I termini dell’intesa italo-franco-indiana sono stati resi noti domenica dal ministro dell’Economia Bruno Le Maire (nella foto), riconfermato da Gabriel Attal nel neonato governo francese: Arcelor-Mittal dovrebbe investire oltre un miliardo e lo Stato impegnare fino a 850 milioni per costruire a Dunkerque, che è considerato uno dei 50 siti industriali francesi più inquinanti, due forni elettrici e un’unità diretta per la riduzione del ferro. Una decarbonizzazione. Entrata in funzione degli impianti “green”? Nel 2027, con un calo delle emissioni di Co2 che viene stimato in 4,4 milioni di tonnellate all’anno.
Intanto, a fronte d’un supporto statale di 850 milioni di euro, Arcelor-Mittal s’è impegnata a investire circa un miliardo di euro. Il tutto quasi in contemporanea con l’uscita da Acciaierie d’Italia, la società di cui detiene il 62% che gestisce l’ex Ilva di Taranto insieme alla pubblica Invitalia (38%). Gli è che Mittal s’è rifiutata di partecipare a qualsiasi rifinanziamento pro-quota. Lo scorso lunedì ha detto no perfino all’iniezione di 320 milioni di euro per garantire la sopravvivenza dell’ex Ilva, alle prese con centinaia di milioni di euro di debiti con i fornitori di gas che ora hanno ottenuto il via libera del Tar Lombardia alla chiusura dei rubinetti.
E così Arcelor-Mittal toglie il disturbo dopo aver portato Taranto ai minimi storici di produzione, che nel 2023 – lo ha riferito il ministro Urso nell’aula del Senato – si è fermata sotto i 3 milioni di tonnellate di acciaio sfornate. E se ne va nonostante lo scorso settembre avesse firmato un memorandum of undestanding col ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto, che prevedeva investimenti pubblici per 2,3 miliardi finalizzati a decarbonizzare l’ex Ilva. Impegni per il socio privato? Non chiariti. Aveva svelato tutto Il Fatto Quotidiano: il testo è stato firmato lo scorso 11 settembre da Fitto per conto del governo, mentre l’ad Lucia Morselli lo ha sottoscritto per conto di Acciaierie d’Italia e Henk Scheffer e Ondra Otradovec hanno dato il via libera in quota Mittal.
Ma le promesse francesi, come al solito, non reggono e l’intesa – che non piaceva a Invitalia e a Urso – è stata stracciata da Mittal nel giro di due mesi. Il colosso franco-indiano s’è rifiutato di sottoscrivere qualsiasi aumento di capitale per poi dare il definitivo benservito al governo in un incontro a Palazzo Chigi. Urso ha immediatamente puntato il dito contro i patti parasociali sottoscritti, durante il governo Conte 2, da Mittal e Invitalia definendoli “leonini”. Ed è tornato a sventolare un vecchio cavallo di battaglia: tutto è iniziato con l’abolizione dello scudo penale, decisa dal “Conte 1”. Lo stesso refrain proposto da Carlo Calenda, l’uomo che assegnò l’Ilva ad ArcelorMittal. Come volevasi dimostrare l’operazione è nata più per bloccare quote di mercato dell’ex Ilva che era stato consegnato a una multinazionale che ha decine di stabilimenti in Europa e, con questa stangata, s’è tolta di mezzo la principale. Una stangata alla francese: voila!