di Dario Campione (Corriere del Ticino) – La guerra scatenata da Hamas contro Israele ha restituito forza, tanto nel mondo occidentale quanto nel mondo arabo-musulmano, al sentimento politico che più di altri ha caratterizzato il Novecento: l’antisemitismo. L’assalto, in Daghestan, all’aereo proveniente da Tel Aviv è soltanto l’ultimo di una serie di episodi che rilanciano domande inquietanti. Gadi Luzzatto Voghera (nella foto a lato), storico dell’ebraismo e, dal 2016, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (CDEC), studia da anni il tema, al quale ha pure dedicato due monografie (Antisemitismo a sinistra, pubblicato nel 2007 da Einaudi, e Antisemitismo, uscito nel 2018 per Editrice Bibliografica).
“L’antisemitismo – dice Luzzatto Voghera – c’è da decenni ed è testimoniato, sia nelle società occidentali sia nel mondo islamico, in molte ricerche sociologiche dalle quali affiora la costante presenza di questo fenomeno, declinato anche in modalità diverse. Solo il mondo della comunicazione si accorge dell’esistenza dell’antisemitismo nei momenti particolari della storia, quando cioè si fa acuto lo scontro sociale o esplodono nuove guerre ed emerge questa aggressività verbale e fisica”.
Un’aggressività che in Daghestan si è trasformata in qualcosa di scioccante, al punto che alcuni commentatori sono tornati a utilizzare una parola incubo della storia moderna contemporanea: pogrom. “Quanto successo in Daghestan richiama ciò che accadde fin dal 1948, all’inizio del conflitto arabo-israeliano, nella gran parte dei Paesi arabi, e che generò l’espulsione di quasi 900 mila ebrei costretti a emigrare in Israele e in altre nazioni. La parola pogrom – spiega Luzzatto Voghera – a mio modo di vedere è giustificata. Storicamente, il pogrom è una rivolta di popolo provocata dalla propaganda del potere, un po’ quello che è accaduto nella Repubblica islamica del Daghestan. D’altronde, in questi giorni vediamo una propaganda molto forte, intensa, nel mondo musulmano, anche molto esplicita laddove ci sono masse di popolazione disponibili ad accogliere quel tipo di messaggio”.
Un potere cieco, talvolta, che esaspera gli animi per poi rendersi conto di giungere sul limite di situazioni ingovernabili. “Non so quanto cieco, in realtà – dice ancora il direttore del CDEC – se pensiamo che venerdì scorso, in un discorso televisivo, il leader di Hamas ha deliberatamente lanciato le parole d’ordine del martirio e della caccia all’ebreo, e in tutte le maggiori piazze e del mondo islamico e in molte di quello occidentale centinaia di migliaia di persone hanno manifestato contro Israele”.
Schieramenti preconcetti
Inevitabile, allora, la domanda sul significato di queste manifestazioni di piazza in cui molti giovani occidentali sembrano non saper discernere come necessario le politiche del Governo di Tel Aviv dalla questione del diritto all’esistenza di Israele.
“È qualcosa che preoccupa molto – dice Luzzatto Voghera – soprattutto perché sembra essere la vera novità che sta emergendo nel mondo occidentale in tema di antisemitismo: mi riferisco a uno schieramento preconcetto, a prescindere, che non tiene conto della complicatissima dinamica mediorientale. Dopo il 7 ottobre, lo storico filopalestinismo, chiamiamolo così, non ha ragione di esistere per come viene declinato, ovvero ancora in maniera molto vecchia, con la retorica terzomondista classica della difesa del popolo oppresso contro l’imperialismo. È qualcosa che non funziona più perché non comprende come Hamas non sia l’espressione del popolo palestinese e della sua volontà di autodeterminazione, quanto piuttosto un regime fascista e fondamentalista che opprime prima di tutto i propri cittadini e che ha, fra i suoi scopi, l’uccisione degli ebrei”.
A questo, forse, andrebbe aggiunto l’obiettivo politico di Hamas, vale a dire impedire, bloccare, far terminare anche traumaticamente il processo di pace che Israele aveva avviato, con molta fatica, insieme con alcuni Stati arabi.
“Correttissimo – concorda Luzzatto Voghera – è proprio così. È sotto gli occhi di tutti un problema serio di sottovalutazione delle condizioni di vita delle popolazioni palestinesi a Gaza e nei territori occupati. La soluzione di quel problema non può più passare semplicemente attraverso un maggiore benessere economico. Serve una soluzione politica”, la stessa che Hamas ha di fatto impedito scatenando una nuova guerra.
La critica è possibile
Resta una questione ancora da affrontare: è possibile criticare Israele senza essere antisemiti, senza cadere nel giudizio antiebraico? E come?
“Certo che si può, basterebbe rifarsi alla cosiddetta working definition dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), in cui oltre alla “definizione operativa di antisemitismo” è elencata una serie chiara di esempi in cui le critiche a Israele diventano antisemitismo. Nessuno può vietare di giudicare negativamente le politiche dei governi israeliani, anzi: questo fa parte del normalissimo dibattito democratico. Il problema è il modo in cui questa critica si declina o se a Israele viene chiesto un doppio standard, un comportamento più virtuoso di altri Paesi. Di fronte a un attacco che ha causato 1.450 morti civili, si pretende da Israele che non muova guerra. Ma vorrei sapere a quale altra nazione è stata fatta a una richiesta simile”.
Antisemitismo, quindi, come problema irrisolto della politica contemporanea. A destra, così come a sinistra.
“L’antisemitismo è un linguaggio politico moderno – conclude Il direttore del CDEC – ed è stato patrimonio di tutte le componenti dell’arco politico. È nato nella seconda metà dell’Ottocento e ha sempre mostrato grande efficacia nell’aggregare forze anche molto diverse tra loro. Gli studi sulle radici ideologiche dell’antisemitismo ci dicono che esso proviene in gran parte da destra, ma non si può negare che sia un problema anche per quella parte di sinistra che non è stata, o non è in grado, di guardare a sé stessa fino in fondo”.