San Pietroburgo (da Ansa) – I servizi di sicurezza russi hanno fermato Darya Trepova. La donna, di 26 anni, è accusata di avere compiuto l’attentato di domenica 2 aprile in un caffè di San Pietroburgo dove è rimasto ucciso il giornalista Maksim Fomin, alias Vladlen Tatarsky. “Agenti del Comitato investigativo, in collaborazione con i servizi operativi, hanno fermato Darya Trepova, sospettata di essere coinvolta nell’esplosione al caffè di San Pietroburgo”, fa sapere sul suo canale Telegram il Comitato investigativo, citato dall’agenzia Ria Novosti. “Ho portato una statuetta che poi è esplosa”: così Darya Trepova risponde alla domanda di chi la interroga in un video diffuso dall’agenzia Ria Novosti. Alla domanda “chi te l’ha data?”, la giovane risponde: “Posso dirlo dopo?” Darya Trepova appare in camicia bianca e con i capelli più corti rispetto alle immagini di sicurezza che la mostravano mentre entrava nel caffè portando un pacco. Il marito della donna accusata dell’attentato si è detto convinto che sia stata “incastrata”. Dmitry Rylov, che non è in Russia, lo ha detto in un’intervista alla testata indipendente russa The Insider, ripresa da Cnn. “Daria ha detto di essere stata incastrata, e io sono completamente d’accordo: nessuno se lo aspettava. Per quanto ne so, era necessario consegnare questa statuetta, in cui c’era qualcosa… Ne abbiamo parlato almeno due volte. Dasha, in linea di principio, non è il tipo di persona che potrebbe uccidere qualcuno”, ha aggiunto Rylov. L’attentato “è stato pianificato dai servizi segreti ucraini”. Lo ha detto il Comitato nazionale antiterrorismo russo citato dall’agenzia Ria Novosti. “Persone che collaborano con il cosiddetto Fondo anti-corruzione” dell’oppositore russo Alexei Navalny sono “coinvolte” nell’attentato “pianificato dai servizi segreti ucraini” aggiunge lo stesso Comitato. La stessa fonte aggiunge che Darya Trepova è “una sostenitrice attiva” della stessa organizzazione. “Il regime di Kiev sostiene azioni terroristiche” ed ecco “perché l’operazione militare speciale in Ucraina viene compiuta” ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, in merito all’attentato di ieri a San Pietroburgo. “Questo regime è dietro l’assassinio di Darya Dugina e molto probabilmente dietro l’assassinio di Fomin”, ha aggiunto Peskov. “Non penso a quello che succede a San Pietroburgo o a Mosca, deve pensarci la Russia. Io penso al nostro Paese”. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky riferendosi alle accuse rivolte da Mosca a Kiev di avere pianificato l’attentato. Il socio di Alexey Navalny, Ivan Zhdanov, ha respinto le accuse delle autorità russe secondo cui la Fondazione anticorruzione del leader dell’opposizione incarcerato sia coinvolta nell’esplosione nel bar di san Pietroburgo. “Ovviamente, non siamo coinvolti”, ha detto Ivan Zhdanov su Telegram aggiungendo che l’accusa è un tentativo di prolungare la pena detentiva di Navalny. Zhdanov ha detto che sembra che la Russia abbia bisogno “non solo di un nemico assoluto esterno sotto forma dell’Ucraina, ma anche di uno interno sotto forma della squadra di Navalny”. Il bilancio delle persone ferite nell’esplosione è salito a 32, di cui 10 in gravi condizioni. Lo ha riferito il servizio stampa del Ministero della Salute russo citato da Ria Novosti. “La condizione di dieci vittime è valutata grave, 16 in uno stato di moderata gravità, di cui una ragazza di 30 anni, cinque persone sono in condizioni soddisfacenti”, afferma una nota del ministero. L’assassinio del blogger militare ultranazionalista russo Maksim Fomin, alias Vladlen Tatarsky, in un bar di proprietà di Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo Wagner, a San Pietroburgo potrebbe rivelare ulteriori fratture all’interno del Cremlino e della sua cerchia ristretta. Lo scrive nel suo ultimo report il think tank statunitense Isw (Institute for the study of the war). Gli analisti dell’Isw definiscono ‘strana’ la dichiarazione di Prigozhin il quale ha detto che non avrebbe “incolpato il regime di Kiev” per la morte di Fomin e di Daria Dugina (assassinata in agosto) indicando come responsabile un gruppo di radicali russi.
L’esplosione in pieno centro ha squarciato il pomeriggio di San Pietroburgo. Oltre 200 grammi di Tnt, nascosti dentro a una statuetta, sono stati fatali per Vladlen Tatarsky, noto blogger militare nazionalista e corrispondente di guerra russo rimasto ucciso. L’ufficio del procuratore del distretto Vasileostrovsky della città ha ordinato l’apertura di un’inchiesta. La matrice dell’attentato – autori, mandanti e movente – resta da definire, ma l’attenzione si concentra al momento sul profilo della vittima. Vladlen Tatarsky (vero nome Maxim Fomin), 40 anni, era diventato noto all’inizio dell’invasione russa in Ucraina, pubblicando video quotidiani intitolati Vecherny Vladlen (Evening Vladlen) in cui analizzava l’andamento della cosiddetta operazione speciale, dando anche consigli tecnici alle truppe mobilitate. Vicino a Yevgeny Prigozhin, il capo della milizia privata russa Wagner, è morto in quello che stando ai media ucraini era proprio uno dei locali dello ‘chef di Putin’, lo Street Food Bar, tra la Neva e l’Università. “Probabilmente” è stata “una ragazza” a portare nel locale l’ordigno che ha ucciso il blogger, ha riferito una fonte citata dall’agenzia russa Ria Novosti, precisando che “c’era una statuetta nella scatola: un regalo destinato al signor Tatarsky”. Il gruppo Cyber Front Z, che sui social si autodefinisce “i soldati dell’informazione russa”, ha rivelato di aver affittato il caffè per una serata dibattito dove lo stesso blogger avrebbe dovuto prendere la parola. “C’è stato un attacco terroristico. Abbiamo preso alcune misure di sicurezza ma purtroppo non sono bastate”, ha riferito il gruppo su Telegram. Tatarsky, seguitissimo sui social con oltre mezzo milione di follower su Telegram, aveva girato e postato un video della cerimonia al Cremlino dove il presidente russo Vladimir Putin pronunciò il discorso dell’annessione delle regioni ucraine di Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia. Tatarsky in passato non aveva risparmiato critiche ai vertici militari russi dopo alcune disfatte subite e per l’inefficienza delle stesse truppe di Mosca. Il ministero degli Esteri russo ha reso omaggio a Tatarsky, mentre Kiev ha evocato la pista del “terrorismo interno”, che sarebbe diventato uno “strumento di lotta politica”, ha affermato il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak. E l’esplosione lascia aperti molti interrogativi. In particolare sul ruolo assunto dallo stesso Tatarsky e da Prigozhin sullo sfondo del conflitto in Ucraina e in particolare sulla guerra di potere che si combatte nella cerchia del Cremlino. Secondo il vice maresciallo dell’aeronautica britannica in pensione, Sean Bell, non ci sarebbero abbastanza dettagli per suggerire un mandante dietro l’esplosione, ritenendo al contempo “improbabile” che il governo ucraino sia coinvolto. “Con l’aumento delle vittime russe della guerra in Ucraina, aumentano i disordini interni a casa”, ha affermato. Secondo i media britannici se si avvalora l’ipotesi che Tatarsky sia stato deliberatamente preso di mira, allora il suo sarebbe il secondo assassinio sul suolo russo di una figura di alto profilo associata proprio alla guerra in Ucraina. Lo scorso agosto il servizio di sicurezza federale russo accusò i servizi segreti ucraini di aver ucciso Darya Dugina, la figlia di un ultranazionalista, in un attentato con un’autobomba vicino a Mosca. L’Ucraina ha però negato il suo coinvolgimento. L’attentato arriva in un momento in cui le forze di Mosca registrano fallimenti in Donbass, e la Russia è sempre più isolata sul piano internazionale. Tuttavia Washington mantiene un canale aperto con Mosca con il preciso obiettivo di liberare il giornalista del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, accusato di spionaggio. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken, al telefono con il ministro degli Esteri Serghiei Lavrov, ne ha chiesto l’immediato rilascio. La risposta non poteva essere più secca: “Tocca a un tribunale decidere della sua sorte”. A conferma del gelo persistente, Maria Zakharova si è scagliata contro l’occidente per la sua mancata reazione alla morte di Tatarsky: è una cosa che “parla da sola, nonostante le loro preoccupazioni per il benessere dei giornalisti e della stampa libera”.