Roma – La premier Meloni insieme al ministro Giorgetti è al lavoro per sbrogliare la matassa dell’ex Ilva e accelera sul controllo pubblico dell’azienda siderurgica italiana. Stringe la presa sulla raffineria Lukoil di Priolo, in provincia di Siracusa. Per le Acciaierie d’Italia il cambio di governance – oggi a maggioranza ArcelorMittal – potrebbe arrivare prima del 2024, mentre nel caso dello stabilimento siciliano che fornisce oltre il 20% della benzina utilizzata nel Paese, i tempi sono più stretti: lunedì 5 dicembre scatta l’embargo sul petrolio russo, l’unico raffinato a Priolo. Laconico sull’argomento il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “La produzione dell’ex Ilva, di Acciaierie d’Italia, non è in condizione di poter reggere uno stabilimento e una produzione siderurgica come quella che l’Italia merita”. La linea del Governo è chiara: lo Stato ha già investito nell’ex Ilva molto denaro e lo farà ancora, con le risorse del Pnrr per la transizione e con l’aumento di capitale previsto dall’Aiuti bis. Si tratta di due miliardi che, dice Urso: “abbiamo il dovere di sapere come saranno spesi”. Se non ci fosse trasparenza, l’esecutivo potrebbe prendere il controllo della società. Una delle ipotesi di cui si è discusso in questi giorni è non a caso quella avanzata da Michele Emiliano. Al tavolo convocato dal Mimit dopo lo stop di Acciaierie a 145 aziende dell’indotto, il governatore della Puglia ha suggerito di condizionare l’eventuale versamento del miliardo messo a disposizione dal precedente esecutivo «ad un contributo in conto capitale, aumentando la quota azionaria in capo al governo italiano e le società che il governo controlla». Si potrebbe forse pensare a un anticipo della già prevista salita del socio pubblico Invitalia al 60% di Acciaierie, rinviata proprio a maggio di quest’anno al 2024. Più che chiara in questo caso l’indicazione della Uil di Taranto: “ArcelorMittal vada via. Siamo stanchi di essere illusi e violentati”, ha detto il coordinatore provinciale Pietro Pallini.