Si doveva attendere il turno di ballottaggio per vedere crescere il dibattito su un tema che da anni rimane sopito e che invece la politica dovrebbe avere l’interesse a definire una volta per tutte. Perché molte delle valutazioni sulla politica locale e sulle qualità di una classe dirigente si basano, volere o no, su uno spartiacque: chi ha votato il dissesto e chi lo ha generato. Tra i cattivi coloro che lo avrebbero generato. Per la sinistra chi è venuto prima della Rossa, inequivocabilmente. Per la destra chi lo ha votato, cioè la Giunta Rossa e la sua maggioranza che frettolosamente nel luglio 2012, lo ha dichiarato.
Quale la novità? Che nel dibattito ancora troppo viziato da falsità, la sinistra ha incominciato a smarcarsi dalla decisione. Nelle ultime ore i suoi esponenti, Abonante e Barrera in testa, incalzati da coloro che conoscono perfettamente la vicenda, hanno ammesso una nuova verità: è stato il Prefetto ad obbligarci al dissesto. È un passo importantissimo, anche se non ancora la verità, nello scrollarsi di dosso una decisione che più impopolare e sbagliata non avrebbe potuto essere. Figlia dei tempi e di una decisione politica improvvida, giustificata da una campagna elettorale vittoriosa. Come si sa, le maggioranze vincono, ma non sempre hanno ragione. I fatti, per come poi si sono svolti da quell’estate, hanno dimostrato che decisione peggiore non avrebbe potuto essere presa.
Ma torniamo a noi. I social hanno dimostrato in questo frangente elettorale, di essere grandi mallevadori di questioni, nel senso che si assumono l’onere che spetterebbe ad altri – per esempio ai mezzi di comunicazione sociale – di sollevare un tema e di metterlo in discussione. Non possono fare altro. Incrociare le opinioni in un dibattito disordinato e venato da maleducazioni diffuse, non è il sistema più efficace per ricostruire la verità. Almeno serve a darne degli spizzichi interessanti e significativi.
Il fatto che si sia giunti, grazie all’apporto di tecnici come Paolo Ansaldi e Pierluigi Arnera e allo spazio concesso dal profilo di Franco Trussi, a fare un passo in avanti è solo un bene per tutti.
Non lo è solo per me e per i miei amici che, da almeno un decennio, soffriamo di una pessima reputazione da parte di chi non si è ancora scrollato di dosso il peso delle bugie e continua a ripeterle come un pappagallo impazzito. Non lo è per una classe dirigente, ancora attiva, che la menzogna ha messo in un angolo e che invece sarebbe ancora assai utile alla città.
Cosa mi aspetto? Che si proceda sul cammino della verità e che frasi buttate lì con nonchalance – come la generica, ma ad effetto: “ci sono state condanne severe”- possano finalmente essere evitate.
Mi aspetto che si dica quello che le sentenze hanno stabilito, senza peraltro contestarle: l’assoluzione piena dall’aver procurato il dissesto per una classe dirigente intera; le condanne in sede amministrativa e penale per la confezione artificiosa del patto di stabilità che con il dissesto non c’entra. Chi volesse andare a leggere attentamente anche questi documenti troverà una condanna e due assoluzioni piene, ma soprattutto individuerà la logica di una battaglia senza quartiere tra lo Stato italiano e il Comune di Alessandria, vinta manu militari dal primo; una guerra tra centralismo e federalismo, in cui il secondo ha dovuto soccombere insieme con il suo campione, durante una stagione di confronto fra i due sistemi. Il Comune sta pagando ancora oggi questa sconfitta epocale, la Giunta Cuttica ne ha fatto le spese e altri dovranno ancora contribuire al prezzo dell’orgoglio e della dignità di un ente municipale che in certe stagioni non si piega al potente, specie quando si veste da tiranno.
Altro che Rossa contro Fabbio.