Ieri, mercoledì 23 marzo, è avvenuta una cosa senza precedenti: Artico ha “affrontato” (si fa così per dire, visto che è stato sottoposto dai giornalisti locali a domande del peso specifico di una piuma d’oca e nessuna attinente al vero motivo che ha scatenato questa esigenza di chiarezza) una conferenza stampa, con una voce debole e rotta, non certo adatta ad un affabulatore da bar come lui! Niente di strano, direte voi, se una società di calcio si organizza per far parlare il DS in piazze calcistiche che frequentano categorie professionistiche. Qui da noi invece è stata una sorpresona. Ma troppe anomalie hanno caratterizzato questa conferenza stampa. Prima fra tutte la collocazione temporale. Il mercoledì sarebbe il giorno “sbagliato” per comunicare notizie, almeno per il bisettimanale sul quale “scrive” (anche qui si fa così per dire) il Grande Capo Penna Cadente (nonché Addetto Stampa dei tifosi e, almeno nei suoi desiderata, della stessa Società, nonché vestale auto accreditata della storia dell’Alessandria). Il mercoledì è un giorno a cavallo delle due edizioni settimanali del periodico e quindi, in caso di importanti novità, il giornale suddetto è destinato a “bucare” la notizia appresa in quel giorno. Lunedi e giovedi sono i giorni in cui ad Alessandria è consentito che succeda qualcosa perché il bisettimanale potrà informare tempestivamente i lettori… La seconda stranezza è che il nostro DS, che non si è degnato di organizzare incontri ufficiali con la stampa neppure in momenti strategici (per esempio dopo la chiusura delle varie sessioni di mercato) ieri s’è presentato ai microfoni, per chiarire una polemica figlia, come vedremo, del nulla. La terza particolarità riguarda chi in realtà ha di fatto indetto questa conferenza stampa, cioè la parte blaterante della tifoseria il cui megafono naturale è stato, anche in questa occasione, il bisettimanale locale, tra l’altro media partner della Società, egemonizzato da Penna Cadente oppure, se preferite, viceversa. Motivo? L’hastagh appena coniato “Io sto con Longo”. Il perché si sia consolidato questa specie di fans club in onore del mister è difficile da razionalizzare per persone ragionevoli ma, conoscendo la dose tossica di autoreferenzialità e la smodata voglia di protagonismo di alcuni riconosciuti capataz della tifoseria, nulla è impossibile. Il casus belli sarebbe stato il mucchio di frettolose – e peraltro figlie uniche – dichiarazioni neppure pubbliche di due tifosi mandrogni noti più per le loro caratteristiche di bastian contrari che di intenditori di calcio, due personaggi pittoreschi, simpatici ma totalmente avulsi e sistematicamente ignorati dalle dinamiche del tifo organizzato e senza seguito alcuno. I due “sventurati” avrebbero sostenuto che una parte importante delle responsabilità di questa precaria situazione di classifica della squadra sarebbe da attribuire al Mister Longo. Apriti o cielo! Tanto è bastato per far scodinzolare il Direttorio della Confraternita dei tifosi mandrogni con una mobilitazione “spontanea”, magari ispirata pure dal loro Addetto Stampa sotto mentite spoglie. Perché sarebbe bastato così poco per provocare un incidente diplomatico di dimensioni tali da obbligare una società, peraltro poco incline al dialogo come la nostra, a voler puntualizzare la lealtà e la fiducia incondizionata in Longo Mister? La risposta sarebbe roba da girare a qualche docente universitario studioso della psicologia umana e di gruppo. A noi è parsa la classica sindrome del piromane che prima appicca gli incendi e poi fa il volontario, a gomito a gomito con i pompieri, per spegnerli, così si sente protagonista due volte. Noi, che docenti non siamo, un paio di cosucce basate sull’osservazione dei fatti e la conoscenza delle persone implicate le vorremmo dire. Primo: l’episodio è figlio dell’inguaribile sete di autoreferenzialità di certa nostra tifoseria che, a volte, si pone persino come azionista di riferimento della Società benchè non lo sia! “Car fanciot”, così va il mondo e il calcio: per essere proprietari di una Società di calcio, in tutto o in parte, bisogna che sia in vendita e poi tirar fuori i soldi e comprarla, in tutto o in parte. Non bastano le dichiarazioni d’amore, sia quelle vere che quelle fasulle per entrare nella stanza dei bottoni di un’azienda. Inoltre i vostri front men e i vostri ideologhi non hanno, secondo noi, il profilo, la statura, la credibilità, la storia, la cultura e, soprattutto, l’età anagrafica per interpretare il ruolo, e proprio quelle sarebbero ragioni che tengono lontani tanti potenziali nuovi spettatori. È vero, anche in altre piazze i capipopolo sono vecchi tifosi “di professione”, ma questo succede nelle metropoli e per tifoserie con una capacità di mobilitazione impensabile qui da noi. Inoltre questi “capi di ventura” incanutiti, come abbiamo visto a Torino e a Roma per esempio, spesso gestiscono situazioni pelose e traffici inconfessabili, roba inedita qui, se escludiamo l’innocente commercio di qualche Tshirt o di qualche felpa dedicata fuori dai canali ufficiali. Immaginare che la Nord, e quindi il tifo organizzato, sia gestito, per esempio, da tal Giarre (da tutti riconosciuto come amico fraterno del DS, quindi, fosse solo per quello, non credibile) o di un certo Ronny (che da oltre 25 anni non abbiamo ancora capito quando parla da capo tifoso, da ex Masaniello, da dirigente di partito, da amministratore pubblico o da consulente della Regione) è indicativo. La linea è comunque sempre la stessa: chi regge la baracca, magari pure con risultati di rilievo, un Di Masi per esempio, è indicato come il colpevole unico di qualunque nefandezza e il bersaglio di ogni critica. Ma qui si entra in un terreno degno d’un trattato antropologico, oppure la fa da padrona l’invidia, peccato capitale, oppure ancora il tentativo revanscista di colui che magari non si sente apprezzato dal prossimo e tenta di dimostrare la propria autorevolezza attraverso queste “battaglie”, finte come gli stronzi di plastica venduti a Carnevale, utili solo a ribadire concetti con i quali sono tutti d’accordo. Quanto a Penna Cadente invece e al suo attivismo, nell’occasione a dir poco sospetto, temiamo che alla base ci siano ragioni meramente professionali e il suo cavalcare l’hashtagh “Giù le mani da Longo”, sia il tentativo di “mostrare i muscoli” a chi sa lei. Tentativo un po’ “machista” a dire il vero, magari troppo, almeno per chi vorrebbe rappresentare istanze e diritti calpestati delle donne. Ma ultimamente una spruzzatina di sana omofobia va di moda fra i “socializanti” del calcio nostrano, almeno a giudicare dai commenti riservati a una vignetta appena pubblicata su FB, subito interpretata come un attacco personale a Di Masi e condiviso, tra altri volgari “mi piace”, da una signorina che lavora per un giornale locale e da un ex giocatore dei Grigi che ha fatto fortuna altrove. Il suddetto, non troppo tempo fa, si era proposto senza successo di far parte dell’organigramma dei Grigi. Temiamo che, certamente in questo caso, il diniego di Di Masi sia stato provvidenziale, al contrario di quel che pensarono allora certi tifosi amici del tipetto così spiritoso. Rifiuto peraltro benedetto, vista la “fulminante carriera” dirigenziale che questo “mister mi piace” ha intrapreso nel mondo del calcio: nulla faceva ai tempi del gran rifiuto e, dopo anni, nulla continua a fare. Perché dietro l’insulto e l’infamia, a volte, si nascondono le più bieche e inconfessabili vendette personali. Ad maiora (è proprio il caso di augurarlo viste le miserie che si nascondono a volte dietro certi sedicenti cuori grigi).