di Fabio Sindici – Anche un’equazione può dare brividi. È successo qualche tempo fa al fisico teorico James Gates, quando ha notato un codice capace di autocorrezione in una serie di equazioni che descrivono la supersimmetria. Come nel software di un computer. Però la teoria delle superstringhe accordate in perfetta simmetria tenta di spiegare – per dirlo con una metafora – la trama e l’ordito dell’Universo. Ben oltre la nuvola dei server che regge il nostro mondo digitale. Il fisico americano ha alzato la testa dai suoi calcoli e si è chiesto: “Davvero viviamo in Matrix?”.
Gates, che dirige il prestigioso Theoretical Physics Center dell’americana Brown University ed è stato consigliere dell’ex presidente Barack Obama per le materie scientifiche e la tecnologia, ha ricevuto più attenzione per questa equazione che per tutti i suoi studi sulla supergravità e la supersimmetria. Del resto, non aveva mai dato peso all’ipotesi della simulazione, lanciata nel 2003 dal professore di filosofia di Oxford, Nick Bostrom, e che oggi rimbalza dalle tavole rotonde della Sylicon Valley ai social, dalle riviste scientifiche alle pagine d’importanti quotidiani come il New York Times. Ora ammette la possibilità. Bostrom aveva posto un trilemma sul futuro progresso tecnologico dell’umanità, relativo alla nostra capacità di produrre universi virtuali popolati da esseri coscienti, indistinguibili dalla realtà corrente: nella prima ipotesi, l’umanità si sarebbe estinta prima di essere in grado di creare tale realtà alternativa; nella seconda gli scienziati avrebbero rinunciato a farlo per preoccupazioni morali; nella terza, la tecnologia umana produce mondi virtuali complessi quanto il nostro cosmo. Quest’ultima ipotesi include l’alta probabilità che noi stessi viviamo in una simulazione creata da qualcun altro.
Di recente, il trilemma, nei commenti di studiosi e ricercatori, è stato modificato in un dilemma, con le due prime ipotesi riunite in una sola. Soprattutto, nel dibattito, sono aumentate le probabilità che il nostro sia davvero un universo simulato. Nel 2020 la rivista Scientific American dava realtà e simulazione alla pari; in un recente articolo sulla stessa rivista il ricercatore Fouad Khan ha argomentato che la nostra vita in un mondo simulato è (quasi) una certezza. E la discussione è uscita dall’ambito accademico per entrare nell’agone della pop science. Mescolata allo spettacolo, all’industria digitale e al lifestyle. Complici l’uscita di Matrix Resurrections, quarto capitolo della saga delle Wachowski – quest’ultimo firmato solo da Lana e accolto da critiche contrastanti -, la pubblicazione del libro “Reality +: Virtual Words and the Problems of Philosophy” del filosofo David Chalmers e la promessa ancora poco affidabile di Mark Zuckerberg di espandere l’esperienza umana nel suo privato metaverse, dalle garanzie dubbie e dalla tecnologia incerta. Insomma, nella pratica siamo lontani dal simulverse dell’ipotesi di Bostrom. Ci arriveremo?
Ne è sicuro l’imprenditore visionario Elon Musk, che ha dichiarato che le chances che la nostra realtà non sia una simulazione creata da una civiltà tecnologicamente inafferrabile sono una contro miliardi. I fautori del simulverso postulano anche l’impossibilità di conoscere i nostri programmatori: dato un computer con una potenza computazionale infinita, non riusciremmo mai a svelare i suoi codici. Il fondatore del Simuology Institute, Christopher Foust, è invece convinto che, come ogni rete o sistema informatico, la simulazione si possa hackerare: magari usando sistemi antichi quanto la civiltà umana come la meditazione. Certo, le teorie della simulazione sono coerenti con la narrativa autoreferenziale e autopromozionale della comunità tecno-scientifica americana, basata soprattutto sulla West Coast. Ma ci sono anche critici e scettici. Come il fisico Frank Wyzeck che sostiene come nel nostro Universo ci sia troppa complessità inutilizzata che sarebbe sprecata in una simulazione razionale. La studiosa delle particelle Lisa Randall, con cattedra a Harvard, si chiede perché mai una civiltà così avanzata da creare un universo virtuale debba poi metterci dentro esseri tanto imperfetti come noi umani. È una domanda che potrebbero farsi anche Supermario o un mostro di World of Warcraft, se avessero una coscienza fatta di bit.
Già, è proprio la coscienza la chiave per provare a forzare la serratura della supposta simulazione universale. Cartesio sosteneva che il mantra Cogito ergo sum, penso dunque sono, fosse l’arma umana capace di dissolvere la realtà ingannevole di un demone ipotetico. Per Khan, invece, proprio la coscienza umana, insieme con la velocità della luce, sarebbe la prova della simulazione: l’artefatto che ogni hardware rilascia anche nel software più sofisticato. I limiti del programma. In questo modo, le ricerche sulla simulazione s’incrociano con quelle della neuroscienza sull’autonomia della coscienza, che per esempio hanno portato a un indice di capacità per un concetto filosofico-teologico come il libero arbitrio.
Un’altra prova della simulazione in cui saremmo immersi? In realtà si tratta di labili indizi più che di prove e le teorie che si sono confrontate in vario modo sull’illusorietà del reale sono molto più antiche del trilemma di Bostrom e del demone di Cartesio. Si può risalire la storia del pensiero: dalla dottrina gnostica di un maligno demiurgo che ci terrebbe imprigionati lontano dalla dimora celeste del nostro vero creatore allo svuotamento del reale del filosofo buddhista Nagarjuna; dal mondo delle idee di Platone alla folla di anime dello Yoga che farebbero la spola tra una sorta di matrice e il samsara, il mondo sensibile e ingannevole. Dal momento che statuine in posture simili a quelle dello yoga sono state ritrovate tra le rovine di Harappa e Mohenjo-Daro si potrebbe dire che il dilemma è antico di circa 5 mila anni. La base scientifica del simulverso trova linfa in una sorta di slogan del fisico John Archibald Wheeler: It from bit, secondo cui ogni realtà si basa su un codice binario. Come il linguaggio dei computer. Wheeler è stato il maestro del Nobel Richard Feynman come di Gates, lo scopritore del codice che si autocorregge. La sua frase si collega quindi anche alla supersimmetria, che postula coppie di particelle che vibrano insieme. Che però non è mai stata osservata in nessun esperimento. Così come le equazioni che descrivono in maniera elegante e coerente la realtà che conosciamo (simulata o no) non hanno necessariamente un equivalente nella struttura del cosmo, potrebbero essere un umano e soggettivo modo di ordinare la realtà. Un’altra specie, con un cervello e un’evoluzione diversi userebbe forse discipline e formule proprie.
Secondo molti, le teorie della simulazione hanno dato nuova forza all’esistenza di un creatore, magari un programmatore assoluto, per usare una terminologia da tecnofili. Al posto della teoria del tutto, ecco la simulazione del tutto. L’esistenza del simulverso renderebbe probabile anche una molteplicità di realtà fittizie parallele, simili o antitetiche, come e più di quelle prodotte in serie dall’industria umana dei videogames. Non solo. In una mise en abime vertiginosa, i programmatori della nostra simulazione, potrebbero essere i programmi di una simulazione superiore e così via. Dante contava nove cieli concentrici per arrivare al Primo Mobile. Una bella sfida per un motore di ricerca.