Genova (da Il Secolo XIX) – Nuovi ostacoli sulla strada della transizione green dello stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto, operazione che il governo si è impegnato a portare a termine anche grazie ai fondi del Pnrr. Per finalizzare la conversione ambientale del sito siderurgico pugliese occorre che il socio pubblico salga in maggioranza in Acciaierie d’Italia, ma ora si teme che Invitalia manchi l’appuntamento di maggio 2022, termine previsto dall’accordo Invitalia-ArcelorMittal, a causa della mancata realizzazione della più importante della clausole sospensive: il dissequestro degli impianti dell’area a caldo di Taranto. A quanto risulta al Secolo XIX, Ilva in amministrazione straordinaria, la società commissariata ancora proprietaria degli stabilimenti ex Ilva in Italia, sta lavorando alla richiesta di dissequestro degli impianti tarantini che dovrà essere presentata in Procura, ma i tempi si stanno allungando e l’istanza non è ancora stata presentata: molto probabile che il responso dei giudici non faccia in tempo ad arrivare entro maggio. Senza il dissequestro, Acciaierie d’Italia (che gestisce gli impianti in affitto) non può procedere all’acquisto degli stabilimenti e Invitalia rischia di non poter salire in maggioranza in società. Sarebbe difficilmente sostenibile una seconda ricapitalizzazione da 680 milioni per salire al 60% in una società di cui nemmeno si possiedono gli asset gestiti. Il dissequestro degli impianti è la più pesante delle clausole sospensive previste dai contratti sui quali poggia l’attività di Acciaierie d’Italia e il rapporto tra i due soci. L’accordo di marzo 2020, siglato tra il proprietario Ilva As e l’allora AmInvestCo di ArcelorMittal, prevedeva infatti che l’aggiudicatario degli stabilimenti, tutt’ora in affitto, procedesse all’acquisto degli stessi entro maggio 2022, a valle del dissequestro. A dicembre 2020 un nuovo accordo ha portato l’ingresso dello Stato in società attraverso Invitalia, che con una prima ricapitalizzazione da 400 milioni è entrata con il 38% delle quote (il 50% dei voti), dando vita all’attuale Acciaierie d’Italia, il cui presidente Franco Bernabè è espressione del socio pubblico e l’ad Lucia Morselli rappresenta il gruppo franco-indiano. L’accordo che ha sancito la nascita della società mista pubblico-privata prevede che Invitalia assuma il controllo di Acciaierie d’Italia, potendo quindi esprimere l’amministratore delegato, salendo al 60% con una seconda ricapitalizzazione già quantificata in 680 milioni di euro. «Se il dissequestro non arriva prima di maggio – sottolinea un’altra fonte vicina al dossier – difficile che Invitalia possa di nuovo ricapitalizzare Acciaierie d’Italia. Occorrerà rinviare». Mancare l’appuntamento di maggio significa andare incontro a rischi, compresa l’uscita di ArcelorMittal dall’Italia, scenario considerato però «improbabile» da chi pensa che la multinazionale abbia interesse a presidiare il mercato italiano. Fonti vicino al dossier fanno notare che i margini per rivedere l’accordo tra ci sono e andrebbero perseguiti. L’accordo tra Invitalia e Mittal dispone che la seconda ricapitalizzazione da parte del socio pubblico sarà dovuta al closing dell’acquisto da parte di AmInvestCo dei rami d’azienda ex Ilva, che è soggetto al soddisfacimento di varie condizioni sospensive, entro maggio 2022. L’obbligo di acquisto degli stabilimenti è rimasto in capo ad Acciaierie d’Italia, ma è soggetto a clausole (dissequestro in primis) che se non si verificheranno lo faranno venire meno.