Roma (Francesco Grignetti de Il Secolo XIX) – Il delicatissimo equilibrio su cui vivono le carceri è in crisi. E ora tocca alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, riprenderne i fili. C’è infatti il corpo della polizia penitenziaria, finito nell’occhio del ciclone per le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, e non solo lì, che è sull’orlo dell’ammutinamento. Il primo segnale viene dal sindacato autonomo Sappe, di gran lunga il più rappresentativo, che annuncia di non voler partecipare all’incontro straordinario organizzato dalla ministra martedì prossimo a Via Arenula.
Sta scoppiando la rivolta
“Un vertice a favor di opinione pubblica. Noi non ci saremo”, insorge il leader del sindacato, Donato Capece. Ma è solo l’assaggio di quel che potrebbe accadere. Nei prossimi giorni, il Sappe terrà un sit-in di protesta sotto il palazzo della Direzione dell’Amministrazione penitenziaria. Nell’occasione, i sindacalisti in divisa «restituiranno» al vertice del Dap le chiavi delle prigioni, di cui loro sono i custodi. “Sarà un gesto simbolico, ovviamente. Non possiamo mica buttare le chiavi e non andare al lavoro”, precisa Capece. E questa però sarà solo la prima di una serie di proteste che stanno mettendo in cantiere. “Che ci vadano loro, a garantire la sicurezza là dentro. A queste condizioni è un lavoro che non vogliamo più fare”.
Tanto per cambiare ci vanno di mezzo i giornalisti
È allarme rosso, di conseguenza, al vertice del ministero. La prima contromossa di Cartabia è stata una telefonata di doglianze al presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, lamentando che si è superato il limite del diritto di cronaca, dopo la pubblicazione su alcune testate locali dei dati personali di tutti gli agenti indagati. A loro volta i vertici del Dap, Bernardo Petralia e Roberto Tartaglia, preannunciano un esposto al Garante della privacy e hanno già manifestato la propria preoccupazione per questi eccessi mediatici, in una telefonata con i prefetti di Napoli e Caserta. La denuncia della “gogna mediatica” è un primo tentativo di recupero verso un Corpo che si sente sotto pressione e minaccia proteste eclatanti.
Accuse assurde contro gli agenti
“Ci hanno fatti passare – insiste Capece – per manganellatori e torturatori. Tutti a parlare di macelleria messicana. Ma non è così. È ingiusto per migliaia di colleghi che fanno onestamente il loro lavoro. Chi ha sbagliato, pagherà. Ma ricordo a tutti che in questo Paese il giudizio tocca all’autorità giudiziaria. E non dimentico che i colleghi a Santa Maria Capua Vetere nei giorni della rivolta erano usciti con le magliette sporche di sangue”. È un fiume in piena, il leader del Sappe. Che nel mondo delle carceri è uno che pesa parecchio. Non risparmia il sottosegretario Francesco Paolo Sisto: “Come si fa a pensare al carcere come ad un’unica comunità, senza distinguere chi è in carcere a rappresentare lo Stato e chi è ristretto per avere commesso reati?”.
“La mafia e la ministra ci vogliono intimidire”
Donato Capece ce l’ha con la ministra: “Da lei, zero attenzione per noi”; ce l’ha coi media: “Si fanno sentenze”, e denuncia: “A Santa Maria Capua Vetere, da due giorni misteriosamente i telefoni fissi non funzionano più. La criminalità organizzata ha isolato l’istituto. Ci vogliono intimidire. A Melito, lì vicino, alcuni colleghi che stavano montando di turno sono stati fermati per strada e insultati, colpiti dal lancio di pomodori. Ora per precauzione i direttori ci ordinano di andare vestiti in borghese per evitare aggressioni. Ecco, questo è il risultato di averci criminalizzati tutti. Noi, con stipendi dei più giovani che non superano i 1400 euro, saltando ferie e riposi per coprire i vuoti di organico, facciamo un lavoro di schifo. A chi ci critica, dico: state voi tutti i giorni con i delinquenti”.