Taranto – Se, dopo la sentenza che ha condannato i Riva e Vendola nel processo “Ambiente Svenduto”, i successivi gradi di giudizio dovessero confermare il disastro ambientale dell’Ilva dei Riva, non è dato sapere se l’area a caldo – sotto sequestro dal 2012 con facoltà d’uso e ora confiscata – potrà restare riaperta, anche alla luce di quella transizione ecologica annunciata grazie anche ai fondi europei. Per ora si parla di 4.000 dipendenti in cassa integrazione per almeno tre mesi come comunicato da Acciaierie d’Italia ai sindacati. Dai titolari che sono Invitalia ed ArcelorMittal, si viene a sapere che gli impianti di laminazione di Taranto, Genova, Novi Ligure e Racconigi non hanno lavorato a pieno regime. La sola fermata dell’Altoforno 2 ha ridotto la produzione di ghisa di 5.000 tonnellate al giorno per cui i sindacati chiedono al governo di accelerare sulla produzione ecosostenibile. Ma la chiusura dell’area a caldo significa chiusura del siderurgico e la priorità, naturalmente, resta la garanzia dei livelli occupazionali e un piano industriale e ambientale in grado di rispettare i due diritti fondamentali: salute e lavoro. Taranto, infatti, è l’unica sede del gruppo ad avere il ciclo integrale dell’acciaio. Un suo ridimensionamento secondo Fim, Fiom e Uilm può avere conseguenze anche sugli altri stabilimenti di Genova, Novi e Racconigi. La soluzione potrebbe essere passare al gas per abbattere la CO2, sperando di essere velocissimi sull’ulteriore passaggio all’idrogeno. Ma i problemi non si fermano qui perché anche sul fronte amministrativo sono dolori con uno scaduto di almeno 1,5 miliardi, fatture verso i fornitori bloccate e non pagate, più altri debiti da verificare per circa 1,19 miliardi. Il tutto fa un debito che sfiora i tre miliardi di euro. Inoltre, per il fatto che l’azienda abbia già speso i 400 milioni versati da Invitalia per pagare le quote della CO2 relativa al 2020 aggrava il problema. D’altronde si si tiene conto che per produrre diecimila tonnellate di ghisa al giorno la società spende 2 milioni di euro solo di materie prime, i conti cono presto fatti e l’orizzonte e sempre più cupo.