di Maurizio Blondet – Un lettore mi chiede se mi aspetto una dichiarazione di scisma da … monsignor Viganò. Ci son cose che fanno cascare le braccia (diciamo), questa è tipica. Com’è possibile che un mio lettore, cattolico praticante, brava persona, capisca l’opposto speculare? Quel che monsignor Viganò dice è che lo scismatico è El Papa, ed è lui con la sua junta kulandro-sudamericana occupante, che deve liberare il Vaticano.
Che lo facciano, è ovviamente escluso. E tuttavia, non solo Ratzinger non sa più come dire che il munus petrino è rimasto a lui; e viviamo in una papalità sdoppiata; anche lo stesso “Francisco” a rivelare la sua auto-coscienza di usurpatore, da segni inequivocabili. Il primo, e noto, è che non osa dormire nell’appartamento dove abitarono i Papi legittimi, ed esercita il suo dispotismo, le sue parolacce, le sue preferenze di persone e le sue trame milionarie da un albergo: la Domus Santa Marta, pardon Hotel , cui ha dato l’allure e lo stile di bettola malfamata affidandone la direzione al ben noto monsignore che fu checca fastosa e scandalosa ai suoi tempi, convivendo con il suo amante in una nunziatura apostolica, e che oggi s’è divertito a richiamare alla moralità, sputtanandoli apertamente, i cardinali che tornano “all’alba” – dopo i loro incontri particolari? – e lui “Non è tenuto ad alzarsi in piena notte per soccorrere confratelli incappati nelle forze dell’ordine”.
Che “Francisco” non osi abitare nella residenza papale dove aleggiano le presenze di Pio Nono, Leone XIII , (san) Pio Decimo, Papa Pacelli, Karol Woytyla è un signum, un simbolo significativo: non sopporta certe compagnie, certe ombre che nel silenzio e solitudine della notte possono visitarti? O conoscendo il valore metafisico dello stare sull’Asse polare, ha voluto disassarsi?
Ancor più rivelatore la soppressione, rabbiosa e dispettosa, che ha voluto delle liturgie della basilica vaticana. Quelle umili, intime e modeste delle cosiddette Messe “private” – che sacerdoti stranieri o forestieri in visita a Roma, che non avevano dove adempiere al precetto di consacrare e comunicarsi, solevano celebrare in uno dei cento altari laterali della Basilica – vietate. E vietate quelle solenni, la liturgia e il servizio corale della trentina di canonici vaticani – elevati a quella funzione perché bene meriti – che dall’anno Mille, in talare secentesca, levano “canti della Sposa allo Sposo”. Li ha sbattuti fuori per sempre, Francisco. Invece di disciplinare i cardinali vecchi viziosi frenetici che tornano dopo le 2 di notte dalle loro randonnades sessuali, egli punisce i preti che dicono Messa ; non vuole che dalla cattedrale madre della Chiesa, centro della cristianità – che sorge sulla verticale del sepolcro e delle ossa di Cefas, il primo Pescatore – si levi l’incessante profumo del Sacrificio; ed è riuscito a vietare la Presenza Reale, la lode e al gloria del Sangue dell’Agnello dalla Pietra centro e base della Chiesa di Cristo. Come lui personalmente vive dislocato “a lato” della verticale petrina, così ha lasciato senza culto l’Asse. Che non vacilla.
Se quest’Asse venisse abbandonato si realizzerebbe la massima inefficacia della grazia extra-naturale che scende dall’alto sulla funzione pontificale, che ne è il canale. Si entra qui in un ordine di idee così lontano da Francisco e dai suoi viziosi cardinali, che bisogna ricorrere ad una sapienza cinese che descrisse la sovranità come “agire senza agire”, “azione immateriale per pura presenza”. È il Tao te Ching, il Libro della Via e della sua Azione, un testo antico ma già abbastanza moderno da conoscere il confucianesimo e criticarne la sua concezione di moralità politica e cura attiva della buona amministrazione. Lao Tse risponde che ci sono stati vecchi re dell’antichità, realmente vissuti, il cui governo consisteva nel “non agire”: I sovrani al tempo della Grande Virtù:
I loro sudditi percepivano appena la loro esistenza
Poi ci si affezionò al principe e si cominciò ad adularlo,
poi ci si mise a tremare e si finì col maledirlo
Non appena l’autenticità venne meno,
si vide la lealtà scomparire
[…] essi adempivano il loro mandato
Gli affari seguivano il loro corso
E il popolo esclamava:
facciamo tutto da noi soli!
Tutto ciò vi sembra troppo esotico, troppo esoterico? Troppo cinese e lontano dal nostro discorso? Come facevano, poi, questi “sovrani” “Santi” e “maestri” a governare senza stanziare denaro, far costruire magazzini per il riso in vista delle carestie, senza far scavare canali e argini scongiurare le alluvioni del Fiume Giallo? Mantenere l’ordine senza che il popolo nemmeno si accorgesse della loro presenza?
Vi sembra tanto lontana da noi, come cultura? Ma invece proviamo a tradurre nel nostro linguaggio. Che cosa dice il Cristo? “Cercate anzitutto il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Ai raccolti di riso e al Fiume Giallo, ai vecchi e ai bambini, la previdenza, pensa la Provvidenza: tutta una quantità di santi, da Don Bosco a Madre Teresa, possono raccontare che avviene davvero così.
Per ottenere dalla Provvidenza “tutto”, bisogna – come quei santi – essere sull’Asse verticale. L’abbandono completo a Dio e alla sua volontà, la rinuncia a se stesso; occorre poter dire, come Paolo: “Non sono più ‘Io’ che vivo, ma Cristo vive in me”.
E cosa dice Lao Tse?
15:
I Maestri dei tempi antichi erano liberi e veggenti. Nella vastità delle forze del loro spirito, l’ “IO” ancora non era [..] in quelli era la Via. Essi erano individui signori dell’Io. E in perfezione si risolveva la loro vacanza”.
Sarebbe un errore ritenere che Lao Tse suggerisca al popolo l’inazione e il fatalismo, visto che “i Santi Re” vegliano su di loro. È il contrario. Infatti
“Il popolo esclamava: facciamo tutto da soli noi!”.
Il popolo lavora, attende alle sue opere, si affatica, realizza, ed ha la sensazione di “far tutto da solo”. E’ una esperienza che il cristiano in grazia e avanzato nello sforzo ascetico, sente e sa a sprazzi: lui porta la sua croce, si affatica, soffre e sopporta con fortezza i rovesci della sorte, si ammala, prega per i nemici, esercita la carità eroicamente e crede di far tutto lui; per scoprire che invece tutto ha fatto “Lui”, che passo passo lo ha assistito e portato la sua croce: una visione che nel Paradiso sarà completa, e farà erompere nelle anime salvate la lode e la gloria.
Un altro modo non taoista per esprimere la Realtà che evoca Lao Tse, è nel Salmo 126:
“Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno”.
Anche in epoca storica, gli imperatori cinesi traevano il potere temporale dall’autorità spirituale che si supponeva incarnassero, ad imitazione dei “Santi Re” primordiali del Tao, eseguendo i “ritti del culto comune” con perfezione – interiore anzitutto. Infatti ogni alluvione rovinosa del Fiume Giallo, pestilenza o rivolta delle masse, era interpretato come un segno che l’individuo che rivestiva il munus di imperatore aveva “perso il favore del Cielo”, più precisamente “del Centro”; perché in questo senso la Cina era detta “impero del Mezzo”, del Centro: “Il Tao scorre nel vuoto mediano”, dice il Tao the Ching 4. “Tao” viene tradotto come Principio, ed anche come Via; e se vi sembra incomprensibilmente orientale, ricordate Chi affermò di sé “Sono Io la Via”; precisando “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, e Giovanni: “In Principio era il Logos…”.
Ma non hai cominciato a parlare del Papa?, dirà il lettore? Com’è che ci hai portato al taoismo? E come farai a tornare al tema?
Lo farò citando il sinologo A. Vallé di La Religion Chinoise:
“I cinesi distinguevano nettamente la funzione imperiale dalla persona dell’imperatore. È la funzione che è divina…L’imperatore, ascendendo al trono, abdica al suo nome personale e si fa chiamare con un nome imperiale che egli si sceglie o che gli si sceglie. Egli è meno una persona che [..] qualcosa come il Sole o la stella polare”.
La stella Polare è quella attorno a cui tutto il firmamento stellato gira, mentre essa è ferma: sull’Asse che non vacilla.
Il sinologo descrive come si vede la funzione “pontificale” del governante, permanente in tutte le civiltà tradizionali; ultimi, anche i Papi cristiani abdicano al loro nome privato ed assumono l’altro sacrale, che lo collega ad una lunga ascendenza di altri Pietri ; è da questa abnegazione di sé che dipende l’efficacia del munus sovrannaturale come del ministerium di comando e gestione, il canale di grazia come l’attività più ristrettamente politica.
Lao Tse dunque evocava a un tempo in cui regalità e pontificalità non si distinguevano ancora; tempo pre-istorico ma realissimo, che la Roma prisca incarnava.
“Fu consuetudine dei nostri antenati che il re fosse altresì pontefice e sacerdote” scrive Servio, l’antichista commentatore di Virgilio; unione così cogente che quando i romani – cacciati i Tarquini – instaurarono la repubblica, sentirono la necessità di istituire le figure addette ai sacrificia che venivano prima eseguiti dai Reges: il Rex Sacrorum, non a caso chiamato re e non sacerdos, e il Pontifex, colui che “fa da ponte” verso il soprannaturale e – “vuoto” (astenuto dalla carriera politica, il cursus honorum) lo riversava sulla comunità come “prosperità, fortuna, crescita, felicitas”.
Ciascuno adesso è in grado di misurare la distanza da questo di quel che avviene nella bettola vaticana dove esercita il potere Bergoglio con la sua junta di cardinali viveurs. Ci sostiene la speranza che questa illegittimità radicale, che oscura la grazia, sia presto risanata e i colpevoli puniti.
“Sorgi, Signore, nel tuo sdegno,
levati contro il furore dei nemici,
alzati per il giudizio che hai stabilito”.