Le fortificazioni di Alessandria. La storia dei forti Bormida, Acqui, Ferrovia giunge da lontano. Probabilmente da quando gli Austriaci scacciano i Francesi dalla Cittadella nel 1799. Ma vengono costruiti dopo la I Guerra d’Indipendenza e, incredibilmente, mai utilizzati. Un destino che ancora oggi sembrano subire. La storia dei 100 cannoni donati alla città da tutt’Italia
di Piercarlo Fabbio – Siamo nel 1861, anno dell’Unità italiana, dichiarata a Torino il 17 marzo. Alessandria è una città uscita paradossalmente rafforzata dal tracollo dei piemontesi nella I Guerra d’Indipendenza del 1848. Per quale ragione? Perché le inefficienze militari che avevano portato alle sconfitte di Custoza e Novara avrebbero potuto travolgere le piazzeforti come Alessandria. La città invece resisteva al momento bellico, ma, firmato l’armistizio di Vignale da Vittorio Emanuele II, sarebbe però stata occupata da 20 mila austriaci in armi fino alla pace di Milano del 1849.
Tra l’altro Alessandria era stata fatta segno di un grande errore interpretativo da parte del generale del Regno di Sardegna Gerolamo Ramorino. L’ufficiale pensava che gli austriaci, anziché passare il Ticino ed entrare nel Regno all’altezza di Pavia, mirassero a conquistare Alessandria e la sua fortezza. Cosa che regolarmente non fecero, mentre la testa di ponte, costituita in Lomellina attraversando il Ticino, permise di aprire la strada a tutto l’esercito austriaco. Ovviamente Ramorino, colpevole di quest’interpretazione fu prontamente passato per le armi. Come d’abitudine dopo una sonora sconfitta militare.
In realtà si stava ormai comprendendo che le grandi fortezze, pensate e costruite circa 120 anni prima di questi fatti, al fine di difendere il potenziale ingresso di uno Stato, si erano rivelate aggirabili e quindi non garantivano la sicurezza che promettevano di fornire ai territori da difendere. La mobilità delle truppe sullo scacchiere bellico avrebbe facilmente superato tali baluardi.
La Cittadella, intesa come impianto difensivo, era peraltro già stata profanata da un violento cannoneggiamento nel 1799, quando i francesi erano stati spazzati via dagli austriaci. Si sarebbero rifatti il 14 giugno 1800 con Napoleone a Marengo, ma la fortezza sarebbe servita solo da ricovero dei vincitori alla fine della giornata di battaglia e da sede per la firma dell’armistizio.
Certo che il trofeo era ambito, ma non del tutto utile alle nuove impostazioni della guerra e, soprattutto, del massiccio uso dell’artiglieria di nuova costruzione.
Sentite cosa racconta il notaio Andrea Bestoso da Pontestura:
“9 luglio 1799: in tutti i giorni e le notti si sente il cannone di Alessandria. Li francesi della Cittadella provano con il cannone ad impedire le operazioni intorno alla cittadella. […] 1799 18 luglio: gli è incredibile il modo con cui si sente il cannonamento e bombardamento della cittadella di Alessandria: principiò questa mattina e durò fino alle dieci e mezzo… sembra il tuono quando vi è un gran temporale: reca spavento fino da queste parti e si sente tremolare la terra sotto i piedi. […] 23 luglio 1799: nel giorno 21 alle ore 22 si è resa la cittadella di Alessandria dopo sei ore di cannonamento e bombardamento […].”
Per cui, sloggiati gli austriaci con la battaglia di Marengo, i francesi già nei primi anni del 1800, si posero il problema di come fortificare meglio non solo la Cittadella, ma l’intero campo militare urbano. I cannoni avevano migliorato in precisione e in gittata e la grande fortezza appariva incredibilmente inerme o almeno poco difendibile. Fu incaricato il generale di divisione Francois-Charles-Louis de Chasseloup-Laubat, che, oltre a potenziare la Cittadella (sono suoi i bastioni casamattati, in luogo di quelli originali del Bertola, che erano invece terrapienati), incominciò a progettare quello che poi andrà sotto il nome di campo trincerato, costituito da forti distaccati e dalle opere a mezzacorona di Valenza e di Solero, atte a consentire l’allagamento del fossato della Cittadella in caso di necessità.
Tramontata la stella di Napoleone ed Alessandria passata sotto il giogo della Restaurazione, furono i Savoia a riprendere il progetto di Chasseloup-Laubat, ma come detto, gli errori della disastrosa I Guerra d’Indipendenza del 1848 stavano a testimoniare come si fosse progettato molto e realizzato nulla. Del resto quei progetti, secondo gli esperti balistici e militari, nascevano già vecchi e incredibilmente, una volta realizzati entro il 1859, non vennero mai utilizzati.
Il progetto era del 1856 ed aveva come titolo: “Piano topografico d’Alessandria col progetto di campo trincerato”. Era stato redatto dal maggiore Candido Sobrero.
I forti, che avrebbero dovuto rompere l’attacco senza farlo giungere alla fortezza principale oltre Tanaro, sarebbero stati otto e avrebbero dovuto tutti avere il fronte bastionato.
Ne vennero però costruiti solo tre, ma con una certa sollecitudine: il forte Bormida, il forte Ferrovia e il forte Acqui. Il primo sulla strada verso Milano, il secondo a corredo della strada ferrata verso Genova da poco inaugurata e il terzo ugualmente orientato a Sud a protezione della strada reale per il capoluogo della Liguria.
Era stato lo stesso Sobrero a variare il suo progetto. Praticamente si dava un ruolo ancora più centrale alla Cittadella, difendendola solo da una direzione. Alle spalle, dalla parte di Asti e del territorio del Regno di Sardegna con buona probabilità non si riteneva possibile un attacco.
Occorreva però armare questo nuovo campo trincerato con moderni e solidi cannoni. Il Regno poteva fare questo sforzo? Ci pensò Norberto Rosa, poeta, musicista, giornalista della Val di Susa, che scriveva per “La Gazzetta del Popolo”, ideando una sottoscrizione popolare che in pochi mesi portò ad Alessandria oltre 100 Cannoni. Mauro Remotti ci racconta questo fatto:
“L’iniziativa ha un successo immediato, e grazie anche alle donazioni di numerosi patrioti residenti all’estero si raccolgono in breve tempo ben 151.914 lire e 21 centesimi, tanto che i cannoni fusi risulteranno più di cento: centoventotto, per la precisione.
La raccolta di offerte ha un’evidente connotazione provocatoria nei confronti dell’Impero asburgico e il palese intento di inasprire i già tesi rapporti diplomatici tra i due Stati che, di lì poco, sfoceranno nella Seconda guerra d’indipendenza.
La Francia è alleata del Regno di Sardegna, e già nei primi giorni del conflitto, esattamente il 14 maggio 1859, per mezzo di un treno speciale partito da Genova, Napoleone III arriva ad Alessandria per sovrintendere alle operazioni militari.”
Ironia della sorte i cento (e più) cannoni non spareranno neppure un colpo, visto che il fronte della II Guerra d’Indipendenza si allontanerà non poco da Alessandria, così come rimarrà inutilizzato il campo trincerato. Non a caso i forti, inattivi a fini militari e ricoperti da una folta vegetazione, sono ancora oggi visibili e usufruibili, pur se necessiterebbero di un progetto e di un conseguente intervento, in modo da sfruttarli a nuovi fini sociali.
Ma in Alessandria non si pensa solo alla difesa, nonostante il suo inconfondibile carattere militare. La borghesia di fatto chiede una città nuova, molto diversa da quella di settecentesca memoria e ciò si incomincia proprio a vedere nel decennio immediatamente precedente l’unità d’Italia. E sarà, in parte, la tecnologia a fornire le armi per questa trasformazione.
Non a caso nel 1849 vengono illuminate a gas le vie principali, mentre nel 1850, cioè un anno dopo, è possibile comunicare con il mondo tramite il telegrafo.
Ma è la ferrovia a mutare completamente l’importanza della città. Si inaugura nel 1850 la tratta Torino- Novi Ligure. Presto si giungerà a Genova con il treno attraverso la galleria dei Giovi, all’epoca la più lunga d’Italia, ma intanto Alessandria diventa un nodo ferroviario di notevole importanza.
La ferrovia si dotava di un nuovo ponte sul Tanaro e di un reticolo di collegamenti minori che partivano proprio da Alessandria.
Anche la stazione è innovativa. Alessandro Mazzucchetti, il suo progettista, utilizza concetti d’avanguardia e in conseguenza anche le tecniche costruttive devono necessariamente essere inconsuete per l’epoca.