Roma (Alessandra Benignetti) – Nonostante la pandemia le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani verso la Cina hanno fatto registrare un incremento record del 20,5 per cento. E da ieri è in vigore l’accordo tra Bruxelles e Pechino per la tutela reciproca di 200 prodotti a denominazione protetta. Duecento prodotti Dop e Igp oggetto di tutela reciproca, con l’Italia capolista per numero di specialità da difendere. È il contenuto dell’accordo sottoscritto da Bruxelles e Pechino per la protezione dei prodotti tipici di Europa e Cina, entrato in vigore ieri. Il nostro Paese conta ben 26 denominazioni su un totale di cento, guadagnandosi il titolo di nazione più rappresentata. Tra i prodotti cinesi che entreranno a far parte del registro della qualità europeo ci saranno, secondo quanto si legge sull’Ansa, il riso Panjin, le bacche di goji Chaidamu e diverse varietà pregiate di the.
Record di esportazioni di prodotti Made in Italy in Cina
Nonostante la pandemia, nel 2020 l’export verso la Cina non ha subito contraccolpi significativi. Il Paese del Dragone si è classificato come terza destinazione per i prodotti del comparto agroalimentare europeo, con 16,3 miliardi di euro di esportazioni. Nello stesso anno, anche l’Italia, secondo i dati della Coldiretti, ha fatto registrare un vero e proprio record nell’export di prodotti Made in Italy verso la Cina, facendo registrare un incremento del 20,5 per cento, per un volume d’affari di oltre 500 milioni di euro. Nella lista dei prodotti protetti in Cina ci sono vini come il Barolo o il Brunello di Montalcino, formaggi come il Gorgonzola, la Mozzarella di Bufala campana o il Parmigiano, il prosciutto di Parma, il San Daniele, e tanti altri, compreso l’Aceto balsamico di Modena.
L’appello della Coldiretti: “Ora allargare tutela ad altri prodotti”
“Si tratta di un risultato importante – sottolinea la Coldiretti – ottenuto in netta controtendenza rispetto alle difficoltà determinate dalla pandemia agli scambi commerciali che conferma l’apprezzamento del gigante asiatico per cibi e bevande nazionali”. Ma, osserva l’associazione, “l’accordo siglato tra Unione Europea e Cina rappresenta un primo passo importante ma insufficiente con appena il 3 per cento dei prodotti italiani a indicazione di origine presenti nella lista”.
“Il rischio – spiega la Coldiretti – è che la mancata protezione di tutti gli altri marchi Made in Italy legittimi la produzione di imitazioni dei prodotti tricolori in un Paese in grande espansione soprattutto nel settore vitivinicolo dove è il primo consumatore mondiale per i rossi”. Per ovviare all’inconveniente, tuttavia, è previsto un allargamento della lista. E poi, va avanti la Coldiretti, è necessario superare le “barriere tecniche ancora presenti per le esportazioni nazionali”.
“Al momento – fa presente l’associazione – per quanto riguarda ad esempio la frutta fresca l’Italia può esportare in Cina solo kiwi e agrumi mentre sono ancora bloccate le mele e le pere oggetto di uno specifico negoziato”.
Boom di richieste per le coltivazioni biologiche
Nel frattempo, l’agricoltura italiana va verso un’attenzione sempre maggiore per le coltivazioni biologiche, con una richiesta sempre maggiore da parte di enti ed università per la ricerca in questo settore. Lo dimostra la partecipazione a due avvisi pubblici presentati da Anabio di Cia-Agricoltori.
Secondo la stessa associazione, citata da Askanews, ad influire sulla svolta bio di molte aziende ci sono diversi fattori tra cui “il Green Deal Ue e le relative strategie Farm to Fork e Biodiversity che hanno prodotto, anche nel mondo accademico italiano, la piena consapevolezza del ruolo svolto dall’agricoltura bio, tale da essere esplorato in ottica innovativa e a salvaguardia del settore primario nel suo complesso”.
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