Casale Monferrato – Scoppia il “caso toponomastico” in città dopo che qualcuno ha pensato – bene per quanto ci riguarda – di intitolare una via alla “Primavera di Praga”. I comunisti hanno avanzato qualche critica affermando che, così facendo, si perde il riferimento a personaggi illustri della città. Ma le vie sono anche dedicate al ricordo di valori assoluti come la Libertà (concetto indigesto ai nipotini di Marx, Lenin e Stalin), e la primavera di Praga è stata una grande lotta dei cittadini cecoslovacchi che combattevano per sottrarsi alla repressione comunista. La rivolta iniziò il 5 gennaio 1968, quando lo slovacco Alexander Dubcek divenne segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia, e terminò nel sangue il 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione militare dell’Unione Sovietica e degli alleati del Patto di Varsavia invase il paese. Tra le riforme proposte da Dubcek v’era anche la libertà di movimento, la stessa libertà di movimento che rivendichiamo oggi in Italia dopo che, a causa del Covid, siamo costretti agli arresti domiciliari chiusi in casa. Sarà una pura coincidenza, ma il risultato non cambia. Ha fatto bene il sindaco Riboldi a proporre l’intitolazione di una Via della città che amministra alla Primavera di Praga, e non è un caso che questa scelta faccia venire il voltastomaco alla sinistra.
Nella foto il giovane Jan Palach (nella foto avvolto dalle fiamme) si dà fuoco (ma non è stato l’unico a farlo in quella splendida e al contempo tragica primavera) per protestare contro il regime comunista. Era uno studente universitario di 22 anni e insieme ad altri quattro decise di immolare le propria vita suicidandosi. Palach fu il primo. Nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 1969 il giovane si recò in piazza San Venceslao, al centro di Praga e si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Si cosparse il corpo di benzina e si diede con un accendino. A soccorrerlo fu un tranviere che spense le fiamme con un cappotto. Il 20 gennaio fu la volta di Josef Hlavaty, operaio ventiseienne, morendo cinque giorni dopo. Il 25 febbraio si immolò Jan Zajíc, studente di diciannove anni e il 4 aprile, in occasione del venerdì santo, anche l’operaio trentanovenne Evžen Plocek fece la stessa scelta. Il messaggio, ieri come oggi è lo stesso: meglio morire che vivere senza libertà.
Meditate gente, meditate.