Che senso ha il “Giorno del Ricordo” in Italia se una casa editrice del valore di Laterza, proprio a ridosso della commemorazione nazionale, fa uscire un volume come quello di tal Eric Gobetti, “E allora le foibe?”, anziché dare spazio a storici seri? Cadono le braccia e la stanchezza aumenta davanti a provocazioni come questa (perché è una provocazione). Il primo istinto sarebbe quello di ignorarle, lasciandole alla loro giusta misura, che si avvicina allo zero. Ma stavolta non possiamo tacere.
Partiamo da una premessa doverosa: siamo i primi sostenitori della sacrosanta libertà di stampa, di parola e anche di satira. “E allora le foibe?” riprende una celebre battuta di Caterina Guzzanti con la quale il personaggio da lei interpretato interrompeva qualsiasi critica, in particolare a presunte aderenze al razzismo, all’antisemitismo etc, pronunciando questa frase a ripetizione. A qualcuno di noi questa battuta ha sempre fatto male, ma la comicità prevede un certo grado di cattiveria o toni “politicamente scorretti”. E in un contesto del genere, seppur di cattivo gusto, è tollerabile.
Diverso è il caso di un libro che vuole essere “storico”. Il pamphlet di Gobetti, infatti, viene pubblicato da Laterza nella collana dal significativo titolo “La Storia alla prova dei fatti”. Peccato però che si tratti invece della Storia alla prova dell’ideologia, della faziosità, del giustificazionismo e, per così dire, dell’ignorazionismo (che vuol dire ignorare in maniera selettiva dei fatti che potrebbero confutare la propria tesi) sulle vicende del confine orientale d’Italia. Fare ironia sui morti e sul dramma di migliaia di connazionali, in questo caso, è intollerabile.
- Il titolo. Chiediamo a Laterza una spiegazione riguardo a questa scelta infausta. Spiegazione doverosa, visto che offende la memoria dei morti, dei familiari delle vittime, degli italiani tutti. O lo Stato e le sue leggi sono una presa in giro o lo è questa operazione.
D’altra parte (e ci torneremo) che il dramma delle foibe e dell’esodo faccia parte appieno, e con i toni da noi sempre espressi, della storia d’Italia l’hanno certificato i presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, solo per citare gli ultimi, che non possono essere certo definiti “neofascisti” o “propagandisti politici” e di sicuro non celebrerebbero al Quirinale una data se, come dice il Gobetti, è “memoriale fascista”. Ma gli editor di Laterza erano forse in vacanza nonostante la pandemia? - Le intimidazioni. Nell’introduzione, Gobetti denuncia tentativi di censura, intimidazioni e la presenza delle forze dell’ordine ad alcune sue conferenze. Ce ne dispiace, ma noi abbiamo avuto il latte versato sui binari quando dovemmo lasciare le nostre città per salvarci la pelle e nonostante tutto non abbiamo mai voluto il male di nessuno. E certamente non vogliamo il male di Gobetti che, piuttosto, ci preoccupa. Perché l’abbiamo vissuto in prima persona e lo ricordiamo con i nomi di parenti e amici senza tomba che non riuscirono a scampare alla furia titina, a quel mondo che il Gobetti idealizza.
Abbiamo, tra l’altro, cercato invano sue dichiarazioni quando i nostri storici subiscono ben di peggio o i monumenti vengono vandalizzati. - Se il mito di Tito offusca l’intelletto. Sui social Gobetti si sbizzarrisce infatti a postare foto mentre omaggia il Maresciallo Tito come se per lui fosse un mito: non certo un buon biglietto da visita per chi si vorrebbe storico imparziale… Non per niente è proprio sulla storia che il suo libro inciampa ripetutamente. Come quando confonde civilizzazione e nazionalismo: “Non c’è dubbio che questa regione sia stata parte, per alcuni secoli, dell’Impero romano e che, in seguito, nell’età medioevale e moderna, abbia subìto una significativa influenza veneziana. Tuttavia identificare queste realtà statali come “italiane” è storicamente assurdo”. Gobetti ignora (o finge di ignorare) che chi le ha definite “italiane da sempre” non parla di Stato ma di Cultura: lingua, usi e costumi – anche artistico-architettonici – che caratterizzano quel territorio. E questi sì sono indiscutibilmente italici. Senza citare la Geografia scritta dal greco Strabone, basterebbe ricordare con Dante che “Sì come ad Arli, ove il Rodano stagna, Sì come a Polapresso del Quarnaro che Italia chiude e i suoi termini bagna”.
La Venezia Giulia viene liquidata da Gobetti superficialmente come un’area che “è stata una parte per alcuni secoli dell’Impero Romano”, mentre si è trattato di una delle regiones in cui Augusto nel 7 d.C. suddivise l’Italia, cuore pulsante dell’Impero, precisamente la X Regio Venetia et Histria con capitale Aquileia. Non proprio un territorio qualsiasi… Bizantini e Veneziani si sono succeduti per secoli, nella parte occidentale della penisola istriana, lasciando impronte indelebili non solo sulla lingua, ma sull’organizzazione dello Stato, delle economie, dell’urbanistica, della cristianizzazione, della cultura e dell’arte. Tutti gli abitanti dell’area ne hanno fruito e per tutti, nei secoli, la lingua veicolare e spesso anche ufficiale è stata il veneziano. Una civiltà a cui ha fatto riferimento tutta l’area alto-adriatica ben prima che si introducesse l’idea di nazione.
Subito dopo, Gobetti liquida il plebiscito chiesto dagli italiani della Venezia Giulia del 1946 come un “plebiscito para-democratico per imporre un cambiamento di regime”, tacendo il fatto che la carta della Società delle Nazioni prevedeva il diritto di autodeterminazione dei popoli.
Ancora, Gobetti insiste nel dire che lo Stato-Nazione sembra comparire in Italia nel 1918: niente da dire sulla slavizzazione imposta in queste terre dalla Corona Asburgica?
Per confutare la pulizia etnica, poi, Gobetti afferma che i partigiani prima e il governo jugoslavo poi, non hanno mai agito su base etnica contro la componente italiana, ma solo perseguendo chi era compromesso con il regime fascista. Essendo evidente che abbia voluto ignorare l’enorme mole di studi contemporanei in merito, ci limitiamo a pensare che avrebbe potuto dare un’occhiata al “Manuale Cubrilovic”, il breviario usato dalla polizia di Tito per liberarsi rapidamente e definitivamente degli italiani, visto che sembra avere più dimestichezza con quel tipo di documenti. - L’allergia di Gobetti alla verità propugnata dalle più alte cariche dello Stato. Senza entrare in ambito storiografico, che lasciamo per un approfondimento più puntuale disponibile sui nostri siti e sulle pagine Facebook delle Associazioni, rispondiamo semplicemente con le parole di Sergio Mattarella: “Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni”.
Tanti innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti conclusero tragicamente la loro esistenza nei durissimi campi di detenzione, uccisi in esecuzioni sommarie o addirittura gettati, vivi o morti, nelle profondità delle foibe. Il catalogo degli orrori del ’900 si arricchiva così del termine, spaventoso, di “infoibato”. Anche il Presidente Emerito della Repubblica Giorgio Napolitano (neofascista anche lui?) è stato chiarissimo: “Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono ‘giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento’ della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”. - I nemici immaginari. Abbonato agli stereotipi, Eric Gobetti scrive che per gli italiani dell’area gli slavi erano nemici da sempre. Una palese falsità. Basterebbe intervistare qualche esule per scoprire la gran quantità di famiglie dove sono convissute e si sono mescolate tante etnie diverse, in modo del tutto pacifico. Sicuramente ci sono state tensioni, anche scontri e violenze, anche da parte italiana – nei nostri libri ne parliamo diffusamente – ma per Gobetti non è la somma che fa il risultato: per far quadrare i conti lui parte dal risultato che vuole dimostrare.
- Metodo di studio “buttiamola in caciara”. Nell’euforia sintetica del Gobetti le uccisioni risalgono tutte al 1943 o alla primavera del 1945. Purtroppo, invece, le uccisioni e le sparizioni continuarono in tempo di pace, ben oltre il primo maggio. È, poi, disgustoso l’approccio alla tragica storia di Norma Cossetto, identificata come “fascista convinta”, come a dire “se l’è cercata”. Per quanto riguarda l’assenza di donne e bambini nelle foibe, come spiega il ritrovamento dei cadaveri di tanti adolescenti in due foibe scoperte nel settembre scorso in Slovenia? Inoltre l’autore utilizza qualche dichiarazione, quantomeno poco avveduta, per dire che noi parliamo delle foibe e dell’esodo in contrapposizione o come contrappeso alla Shoah. Si tratta, evidentemente, di due vicende molto diverse per motivazioni e numeri. E comunque – senza fare la fatica di andarsi a leggere i numerosi testi dove ne abbiamo parlato – sarebbe sufficiente seguire le pagine Facebook delle nostre associazioni per scoprire che ricordiamo bene la terribile persecuzione subita dagli ebrei, anche nostri conterranei.
- Espulsione. Ennesimo stereotipo gobettiano: secondo lui non è mai stato emesso un decreto di espulsione, sono gli italiani che se ne sono andati grazie alla possibilità di scegliere, optare, liberamente per l’espatrio. La gente se ne andava non per le violenze a strascico di fine guerra, ma perché “percepiva” come nemico il nuovo potere dopo decenni di propaganda fascista. Gobetti non sa, o finge di non sapere, come avvenivano le “opzioni”, quante volte queste venivano respinte o non prese in considerazione, con conseguenze pesantissime per gli optanti stessi.
- Altra perla: la gente fuggiva perché in Italia si stava bene, c’era opulenza. Sembra di leggere la descrizione degli esuli fatta su “Rinascita” e non solo, nel ’46 e ’47: “Fastidiosi parassiti, piccolo borghesi che cercano di rosicchiare un po’ di fortuna”. L’Esodo viene poi diluito nel mare magnum degli spostamenti coatti di popolazioni avvenuti al termine della Seconda Guerra Mondiale, senza coglierne le caratteristiche specifiche, trattando con una leggerezza imbarazzante le condizioni dei Centri Raccolta Profughi e inesistenti appaiono i riferimenti ai beni degli esuli con cui lo Stato italiano pagò le riparazioni di guerra alla Jugoslavia.
- Quando non sappiamo che fare, inventiamo. Non commentiamo le dichiarazioni relative al film “Red Land” perché sono deliranti, ma sul fatto che il fumetto “Foiba Rossa” sia pubblicato con il finanziamento della Regione Veneto possiamo dire chiaramente che il metodo storico utilizzato da Gobetti è quello dell’invenzione.
- Gobetti aggiunge dolore a dolore. Se oltre 300.000 persone sono scappate via dalla propria terra a causa di una “psicosi collettiva”, crediamo che la stessa abbia colto l’entourage di Laterza nel trattare Gobetti come uno storico squalificando la credibilità di quella che fu una casa editrice di pregio e, peggio, offendendo la verità e il dolore, che gli anni possono solo mitigare ma non cancellare, di chi ha perso tutto a causa del comunismo e del Maresciallo Tito.