Arquata Scrivia (a.g.) – Sindacati sul piede di guerra dopo che il Gruppo Buzzi Spa, attuale proprietario di Cementir, ha annunciato la prossima chiusura dello stabilimento di Arquata Scrivia che impiega una ventina di addetti. Il cementificio, oggi Arquata Cementi, è in crisi da anni e i sindacati, prima di indire lo stato di agitazione hanno chiesto un incontro al prefetto.
La storia dell’azienda, prima del Gruppo Iri, ha iniziato a complicarsi una trentina di anni fa.
Nel 2008, dopo l’acquisizione dall’Iri del pacchetto di maggioranza (51,78%) da parte del Gruppo Caltagirone, data la dimensione internazionale raggiunta, nasceva una holding controllante due società operative: Cimentas A.S. e Aalborg Portland A/S, che operano ancora oggi rispettivamente in Turchia e Scandinavia. A poco a poco gli investimenti abbandonarono l’Italia e intorno al 2010 gli stabilimenti italiani, con quello di Arquata Scrivia in testa, non erano più competitivi arrivando a coprire solo l’8,5% delle vendite, contro il 27% di Turchia, Egitto, Cina e Malesia, il 52% di Scandinavia e Usa.
Convulsa la storia degli ultimi tre anni: nel 2018 il Gruppo Caltagirone vendeva Cementir alla Italcementi-Heidelberg mentre nella primavera dell’anno successivo Buzzi Unicem S.p.A. la acquistava da Heidelberg. L’azienda vanta tre impianti produttivi: una cementeria a ciclo completo, in Toscana (Greve in Chianti) e due centri di macinazione in Piemonte (Borgo San Dalmazzo e Arquata Scrivia). Tuttavia i tre impianti hanno sofferto della crisi del settore dell’edilizia e della drastica riduzione delle produzioni. Per questo motivo si rendeva necessario, dal 1° Luglio 2019, un processo di trasformazione dell’azienda, tutt’ora in atto, al fine di integrare al meglio le diverse realtà produttive. Ecco il motivo per cui Arquata sarà chiusa mentre resteranno in piena attività e potenziati gli stabilimenti di Borgo San Dalmazzo e Greve in Chianti. Purtroppo lo stabilimento di Arquata avrebbe dovuto essere pesantemente ristrutturato molto tempo fa dopo anni di difficoltà economica, ma non è stato così ed ora, forse, i costi di una sua ristrutturazione non sono più sostenibili. Nel caso di chiusura di Arquata non è da escludere una redistribuzione degli addetti negli altri due stabilimenti accompagnata da prepensionamenti e blocco del turn over.