Milano (Marco Gregoretti de Il Giornale) – Un foglio con frasi scritte, a matita, di suo pugno dal giornalista Mino Pecorelli, ucciso a Roma la notte del 20 marzo 1979, qualche ora dopo l’uscita in edicola di OP, il giornale di cui era fondatore e direttore. È lo schema della copertina del numero mai pubblicato della rivista, la cui pubblicazione era attesa con ansia e con una certa preoccupazione dall’establishment politico dell’epoca. In mezzo al foglio lo strillo centrale: La Strage continua. C’è una nuova pista per la soluzione del principe di tutti i cold case. La racconta la giornalista investigativa Raffaella Fanelli nel libro il cui titolo si ispira proprio a quegli appunti ritrovati: La strage continua – La vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli (Ponte alle Grazie editore). Più di duecento pagine da fiato sospeso perché per la prima volta si ipotizzano un movente mai esaminato e gli autori dell’agguato che provocò la morte del giornalista che indagava su tutto: dalla strage milanese alla Banca dell’agricoltura di piazza Fontana il 12 dicembre 1969, alla parabola politica di Aldo Moro. Fanelli spiega che Pecorelli aveva un dossier su Avanguardia Nazionale e che avrebbe avuto diversi elementi sul coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie e di Licio Gelli nel tentativo di Golpe Borghese avvenuto tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Già nel primo numero di OP, uscito a gennaio 1979, il giornalista scriveva delle misteriose bobine che poi, nel 1991, il capitano Antonio La Bruna (importante figura del Sid di Vito Miceli, reclutatore di agenti operativi anche della Gladio Stay behind) consegnò al giudice milanese che indagava sulla strage di piazza Fontana Guido Salvini. Pecorelli stava approfondendo giornalisticamente tutto ciò che si muoveva intorno alla strage di piazza Fontana e per questo aveva incontrato Giovanni Ventura, come nel libro viene confermato da Franco Freda e dalla collaboratrice di Pecorelli Paola Di Gioia. “La strage continua” contiene anche le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra, ribadite dall’intervista che rilascia in carcere a Opera all’autrice. Proprio quanto detto da Vinciguerra, peraltro, ha convinto il pubblico ministero Erminio Amelio a riaprire le indagini sull’omicidio, nel febbraio 2019. “Pecorelli” dice Fanelli a Dagospia “era un bravissimo giornalista ed è stato per anni coperto dal fango con lo scopo di delegittimare il lavoro di una persona che forse aveva scoperto la verità su fatti scottanti”. Nel libro, a cui Fanelli ha lavorato per due anni, dunque, si formula una ipotesi mai presa in considerazione e si va a fondo a 360 gradi. Per esempio con la testimonianza di Stefano Pecorelli, figlio di Mino, che per la prima volta rompe il silenzio dal Sudafrica, dove vive. Non poteva mancare, infine, la chicca delle chicche: il ruolo di Massimo Carminati, protagonista dell’ex Mafia Capitale, sospettato di appartenere ai Nar (Nuclei armati rivoluzionari) e alla Banda della Magliana. A tirarlo in ballo è l’ex agente segreto, crocevia di infinite vicende italiane e non solo, Francesco Pazienza che ci va giù veramente duro. Fino al punto da dichiarare che Carminati sarebbe stato coperto da un giudice. Un fatto è certo: il 20 marzo 1979 davanti al portone c’era una macchina con una persona che guidava e altre due sedute dietro. Ma a sparare a Pecorelli fu uno solo. Chi? Tutti lo sanno, ma nessuno lo dice. Effettivamente “La Strage Continua…” di Raffaella Fanelli è un atto di coraggiosa investigazione giornalistica. Fatto piuttosto raro nell’anno del Coronavirus.