di Paola Re – Sabato 12 Ottobre 2013, feci un’esperienza che raccontai per iscritto ad alcune associazioni. La morte di Philippe Daverio mi ha spinta a rileggere quanto scrissi allora e a riproporlo, invitando a una riflessione chi da due giorni celebra il personaggio defunto, ma soprattutto invitando a liberarsi dall’intollerabile ipocrisia del “De mortuis nihil nisi bonum” perché il giudizio sui personaggi pubblici è sempre lecito, se non addirittura doveroso, ed è su quel giudizio che si costruisce una coscienza civile e politica pur rischiando di urtare i sentimenti delle persone vicine al defunto.
Dunque, quel giorno di 7 anni fa andai a Valenza alla conferenza “Noi siam lavoratori” tenuta da Philippe Daverio. Il personaggio mi era sempre piaciuto, avevo guardato i suoi programmi televisivi oltre che letto i suoi libri e articoli molto utili ai miei studi universitari. Inoltre l’argomento della conferenza era interessante perché parlava degli artisti visti come lavoratori. La conferenza è stata videoregistrata e penso che sia conservata nel Comune di Valenza quindi tutto ciò che scrivo, può essere verificato.
Arrivo in una sala dell’Expo Piemonte che ospita circa 300 persone, c’erano molti politici, occasione ghiotta per Daverio di scatenarsi sulla disattenzione della politica nei confronti del mondo della cultura; quando parla di finanziamenti, io penso di sollevare la questione dei finanziamenti agli spettacoli con animali.
Appena lascia spazio al pubblico, il primo a intervenire è il Sindaco di Valenza: più che una domanda è una elencazione di ciò che aveva fatto per la collezione Valentia inaugurata quel giorno.
Poi interviene l’ex Ministro Renato Balduzzi che formula una domanda più lunga della risposta ottenuta.
Dopo le due esimie autorità, tocca a me: riprendendo le parole di Daverio favorevole a fare una battaglia per difendere l’arte e gli artisti, sottolineo che certe battaglie devono essere fatte, non solo a favore di qualcosa e qualcuno, ma anche contro qualcosa e qualcuno. Mi riferisco ai finanziamenti elargiti generosamente a spettacoli e forme d’arte a cui la legge attribuisce un valore culturale, per esempio il circo con animali, il palio e le corse di animali, le giostre medievali e rinascimentali con cavalli, le sfilate, le mostre con animali, tutte in nome della cosiddetta tradizione. Sottolineo di ritenerli, oltre che una forma di sfruttamento e di diseducazione, uno spreco di denaro, ovviamente a svantaggio delle forme d’arte che hanno un valore culturale indiscusso. Inoltre, dato che nel suo discorso Daverio aveva citato più volte Horkheimer (a proposito del capitalismo), lo cito anch’io riportandogli sommariamente il contenuto de “Il grattacielo”, uno scritto tragico e commovente sulla condizione di esseri umani e non umani. Poi esprimo il desiderio di vedere intellettuali e artisti firmare petizioni e manifesti contro questi sperperi di denaro, proprio per investire il denaro nella vera cultura.
A questo punto mi interrompe dicendomi: “Lei fa la domanda alla persona sbagliata” e inizia a esporre il suo pensiero sulla questione animale e cioè che va a cavallo, che ama vedere la schiuma uscire dalla bocca del cavallo mentre mastica la briglia e che si emoziona tantissimo nel vederlo fare lo sforzo di scavalcare un muro. Dichiara orgogliosamente di essere favorevole alla caccia alla volpe e di praticarla (anche se non si pratica con la volpe viva e vegeta); di essere favorevole alla caccia in generale: “Meglio sparare a un cervo che tenere una gallina tutta la vita in una gabbia e poi mangiarla”.
Partono alcuni applausi. A prescindere dal non capire che due cose sbagliate non ne fanno una giusta, che cosa c’entra questa risposta con la mia domanda? Nulla.
Allora ribatto: “Ma la mia domanda riguarda i finanziamenti agli spettacoli con animali”.
Daverio espone il suo pensiero sul circo, dichiarando di essere amico di uno dei Togni: elogia i suoi cammelli con un pelo bellissimo. E poi, con un occhio di attenzione alla moda, si concentra sui cappotti di cammello. Che cosa c’entra questa risposta con la mia domanda? Nulla.
Torno sul punto: “Ma la mia domanda riguarda i finanziamenti agli spettacoli con animali. Immagino lei sia favorevole al circo con animali”.
E lui, finalmente, esprime il suo pensiero sui finanziamenti agli spettacoli con animali e cioè che è favorevole, sottolineando che gli animali sfruttati, “come dice lei” (rivolgendosi a me) non è detto che siano trattati male. Bisognerebbe fare un excursus sull’etimologia del termine “sfruttamento” ma non me lo consente.
Prosegue col parlare della liberazione animale e mi chiede se penso che gli animali debbano essere liberi ma non mi fa rispondere. È una domanda retorica. Infatti risponde a se stesso dicendo di avere cinque cani e deve forse porsi il problema di andare a casa e liberarli tutti e cinque?
Che cosa c’entra questa risposta con la mia domanda? Nulla.
Dalla liberazione animale passa al cibo chiedendosi se debba pure privarsi di mangiare animali. Anche questa è una domanda retorica: risponde a se stesso parlando del giainismo e dichiarando di sentirsi vicino al maiale ma ammette che il prosciutto per lui è irrinunciabile.
Partono risate e io torno sulla questione: “Io mi ero limitata ai finanziamenti a spettacoli di animali”. Lui mi chiede se vado al circo e io rispondo che vado al circo senza animali, fatto di soli artisti umani, che poi sono quelli di cui si era parlato nella conferenza.
Ho l’impressione che questa mia ultima osservazione lo infastidisca perché va al cuore del problema dove non era andato lui: gli artisti.
Infatti una persona dell’organizzazione viene a ritirarmi il microfono, cosa che mi fa molto piacere perché è un segno che la questione è scomoda. Dare fastidio è un significativo passo avanti.
Io resto senza microfono, e lui conclude così: “Andare al circo senza animali è come andare in un ristorante senza cibo”. Uno slogan perfetto per il circo con animali. Mi stupisco che nessun circo ne abbia mai fatto uso, vista l’autorevolezza della fonte.
Alla fine della conferenza arrivano due persone a dirmi che ho fatto bene a porgli quella domanda e che pure loro sono rimaste deluse dalle sue risposte.
Daverio ha un curriculum rispettabilissimo, come è stato più volte ribadito in questi giorni, tuttavia dopo quell’incontro, non solo l’ho tolto dai miei interessi culturali, ma ho espresso il mio dissenso nei suoi confronti ogni volta che lo ritenessi opportuno perché il dissenso deve essere un abito mentale, una condizione per la democrazia e per la libertà.
Tralascio le sue vergognose considerazioni fatte a proposito della Sicilia e dei Siciliani lasciando spazio a chi lo volesse fare meglio di me.