Le opere di Bauman, che, per quanto fortunate editorialmente, sono state cibo per pochi, purtroppo, sono un tesoro cui attingere per comprendere le ingiustizie del tempo presente, denunciarle, e se possibile, combatterle
da Libre – Così Angelo d’Orsi ricorda su “Micromega”, all’indomani della sua scomparsa, il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, ebreo, massone progressista e celebrato teorico della “società liquida”.
“Il messaggio che ci affida – scrive d’Orsi – è appunto di non smettere di scavare sotto la superficie luccicante del mondo globale, come ce lo raccontano media e intellettuali mainstream, che non solo hanno rinunciato al ruolo di legislatori, trasformandosi compiutamente in meri interpreti, ossia tecnici, ma sono diventati laudatores dei potenti”.
Nato a Poznan nel 1925, Bauman aveva attraversato il “tempo di ferro e di fuoco” dell’Europa fra le due guerre, “tra nazismo, stalinismo, cattolicesimo oltranzista, antisemitismo”. Di origine ebraica, si era allontanato dalla sua terra, per sottrarsi proprio a una delle tante ondate di furore antiebraico, che da sempre la animano. Era stato comunista militante, poi allontanatosi dal marxismo canonico, fino alla “scoperta” di un grande italiano, Antonio Gramsci che lo aveva aiutato a leggere il mondo con occhi nuovi, rispetto alla vulgata marxista-leninista e alle scienze sociali angloamericane.
Un comunista ebreo contro certi ebrei e certi comunisti
Bauman aveva studiato sociologia a Varsavia, con maestri come Stanislaw Ossowski, prima di trasferirsi in Israele, all’università di Tel Aviv, e quindi a Leeds, in Inghilterra dove insegnò per decenni.
“Sarebbe però riduttivo definirlo sociologo – scrive d’Orsi – sia per il tipo di sociologia da lui professata e praticata, poco accademica e nient’affatto canonica, sia per la vastità dello sguardo, la larghezza degli interessi, la molteplicità degli approcci”. Filosofo, politologo, storico del tempo presente: uno studioso prolifico, autore di una cinquantina di opere, preziose per “l’osservazione critica della contemporaneità”. Bauman si era occupato “in modo nient’affatto banale dell’Olocausto, messo in relazione alla modernità”, in qualche modo riprendendo spunti di Max Horkheimer e Theodor Adorno, “puntando il dito contro l’ingegneria sociale e il predominio della tecnica (in questo vicino a Jürgen Habermas), che uccide la morale, contro l’elefantiasi burocratica che schiaccia gli individui senza aumentare l’efficienza del sistema sociale”. In più, aggiunge d’Orsi, Bauman “aveva studiato la trasformazione degli intellettuali, passati da figure elevate, capaci di dettare l’agenda politica ai governanti, a meri tecnici amministratori del presente, al servizio del sistema”. In altre parole: la degenerazione progressiva del potere.
L’ombra lunga e inquietante della Globalizzazione
Fra i tanti meriti di questo pensatore, Angelo d’Orsi segnala “la sua capacità di descrivere gli esiti della forsennata corsa senza meta della società post-moderna, attraverso un’acutissima analisi del nostro mondo, in cui la globalizzazione delle ricchezze ha oscurato quella ben più mastodontica, gravissima, delle povertà”. Studiando le conseguenze sulle persone ridotte a scarti, “residui superflui che vanno conservati soltanto fin tanto che possono esser consumatori”, Bauman ha svelato “il volto cupo e tragico dell’ultra-capitalismo, feroce espressione di creazione e gestione della disuguaglianza tra gli individui, dove all’arricchimento smodato dei pochi ha corrisposto il rapido, crescente impoverimento dei molti”. Quell’uomo, continua d’Orsi, “ci ha aiutato a guardare dietro lo specchio ammiccante del post-moderno, sotto la vernice lucente dell’asserito arricchimento generalizzato e universale, dietro lo slogan della fine della storia, ossia della proclamata nuova generale armonia tra Stati e gruppi sociali”, oltre alla quale “era apparso l’altro volto della globalizzazione, ossia una terribile guerra dei ricchi ai poveri, ennesima manifestazione della lotta di classe dall’alto”.
Una società sotto assedio
Ha guardato, Bauman, alle “Vite di scarto” (altra sua opera), generate incessantemente “dall’infernale megamacchina del finanzcapitalismo”, scrive sempre d’Orsi, citando un’espressione di un altro grande scomparso, Luciano Gallino. Il nuovo, grande problema denunciato da Bauman è il capitalismo parassitario: “Quella che chiamava omogeneizzazione forzosa delle persone (un concetto che richiama la pasoliniana “omologazione”), era l’altro volto della società anomica, che distrugge legami, elimina connessioni, scioglie il senso stesso della convivenza”. Volumi, saggi, articoli, conferenze, “è come se quest’uomo mite e affabile avesse voluto tendere una mano a tutti coloro che dal processo di mostruosa produzione di denaro attraverso denaro, erano esclusi; quasi a voler salvare, con le sue parole, gli schiacciati dai potentati economici, a voler dar voce a quanti, in una società sotto assedio, dominata dalla paura, dal rancore, dall’ostilità, vedevano e vedono le proprie vite disintegrate”.
Produci-Consuma-Crepa
I “Danni collaterali”, elencati in uno dei suoi ultimi libri, sono in realtà l’essenza di questa società, che egli ha definito, felicemente, “liquida”, con una trovata che è poi divenuta formula, ripetuta, un po’ stucchevolmente, negli ultimi anni, applicata a tutti gli ambiti del vivere in comune. “Liquida – scrive d’Orsi su Micromega – è questa nostra società che ha perso il senso della comunità, priva di collanti al di là del profitto e del consumo: una società il cui imperativo, posto in essere dai ricchi contro i poveri, dai potenti contro gli umili, è ridotto alla triade Produci-Consuma-Crepa”. Di conseguenza, diventano tristemente “liquidi” anche i rapporti umani, così come la cultura. In altre parole: “Liquido tutto il nostro mondo, che sta crollando mentre noi fingiamo di non accorgercene”.