Asti – Ci sono un paio di pantaloni, un maglione, collant, slip e altri capi personali da analizzare. Sono i vestiti che indossava Elena Ceste, la donna di Costigliole d’Asti scomparsa nel gennaio 2014 e sono i reperti cui potranno accedere il perito di biologia forense Eugenio D’Orio, dell’Università Federico II di Napoli che fa parte del gruppo di investigatori guidati da Davide Cannella della Falco investigazioni di Lucca, coi quali collabora anche la criminologa Anna Vagli, al lavoro da mesi per cercare di far riaprire il caso della donna per la cui morte il marito, Michele Buoninconti è stato condannato a 30 anni.
Il tribunale di Asti ha, infatti, concesso la possibilità di accedere ad alcuni reperti e la Falco Investigazioni è al lavoro da tempo per cercare elementi utili per presentare la richiesta di revisione per Buoninconti. In pochi giorni la giudice Francesca Di Naro ha concesso l’autorizzazione all’accesso.
La concessione lascia sperare in una futura riapertura del caso. Il via libera è stato dato per effettuare analisi genetiche sugli abiti della donna, trovati nel cortile della sua casa il giorno della scomparsa e sui campioni biologici, prelevati dalle due auto della famiglia, che non erano mai stati analizzati.
«Dal giudice ci aspettavamo una risposta in tempi lunghi e dopo alcune udienze in realtà – spiega D’Orio – invece è stato approvato tutto in pochi giorni e con una mera comunicazione. Ora siamo legittimati ad andare a prendere i reperti. Sono sempre stato fiducioso nell’operato della magistratura».
Nella richiesta che aveva presentato il consulente e docente universitario napoletano venivano invocati non solo i principi del diritto alla difesa previsti dalla Costituzione, ma anche la sentenza della Cassazione sull’accesso e analisi dei reperti per fini esplorativi per completezza della difesa individuale.
«In casi giudiziari come quello di Bossetti e per il caso Erba – spiega la criminologa e consulente tecnico del team, Anna Vagli – gli accessi ai reperti sono sempre stati negati. Noi vogliamo dimostrare come sono andate davvero le cose».
Le cose, secondo quanto ipotizzato dagli investigatori della famiglia Buoninconti, sarebbero andate in modo diverso da quanto sostenuto dall’accusa.
“Abbiamo scandagliato la vita privata di Elena Ceste. Ciò che non è emerso è che avesse tre amanti e con uno di questi si era appartata». Secondo la consulente, nel processo sono state lette male le carte: “com’è possibile che non siano emerse queste cose? C’è un messaggio ad uno dei tre amanti, ci sono confessioni al parroco”.
Le nuove analisi che hanno richiesto sono funzionali per dimostrare che l’assassino della giovane donna non è Michele, ma sarebbero state relazioni coniugali pericolose. Nei vestiti scomparsi si cerca, dunque, il dna del potenziale e possibile esecutore materiale dell’omicidio.
A settembre si potrà sapere se quelle tracce ci sono oppure no.