Arquata Scrivia – Chi ha ucciso Igina Fabbri, la donna morta due anni fa, era il 6 febbraio 2018, in una villa disabitata a Pessino di Arquata, dopo essere stata legata ad una sedia con delle fascette da elettricista, intirizzita ed in stato di semi incoscienza per due giorni di fila?
Tutto fa pensare al figlio, Mauro Traverso, e il pm Alessio Rinaldi ne è convinto.
Tossicodipendente e con la costosa passione delle auto sportive, Traverso, secondo le informazioni raccolte dagli inquirenti all’epoca dei fatti, avrebbe ucciso la madre per motivi di soldi, di cui aveva sempre più bisogno. Avrebbe, inoltre, mentito anche a proposito dei suoi spostamenti: sul momento in cui avrebbe accompagnato la madre a Borgata Pessino, sui suoi movimenti del 5 febbraio, sulla ricostruzione di quanto accaduto il giorno 6, prima del ritrovamento del corpo della madre e in merito al luogo di ritrovamento delle chiavi della casa di Borgata Pessino.
Così come avrebbe mentito all’amico che, senza sospettare nulla di ciò che aveva in mente il Traverso, il 6 febbraio gli aveva prestato il furgone col quale poi si era recato sul luogo in cui aveva rinvenuto la madre agonizzante.
Stando alla ricostruzione effettuata dagli inquirenti due anni fa, Traverso, il 4 febbraio 2018, avrebbe condotto la madre nella casa di Borgata Pessino, l’avrebbe stordita e legata ai polsi con delle fascette da elettricista, poi se ne sarebbe andato di casa in tutta tranquillità.
La difesa dell’uomo ha però iniziato a inserire, negli interrogatori dei testimoni, alcuni elementi a sostegno di una ricostruzione alternativa: la pista della droga.
I difensori di Traverso, Aldo Mirate e Chiara Pescarmona, inducono a ipotizzare la tesi dello sgarbo.
Il figlio della Fabbri faceva uso di stupefacenti e questo era noto. Si sarebbe, però, tenuto della cocaina che, invece, si era impegnato a vendere. Chi gliela aveva data si sarebbe vendicato e, a causa del mancato pagamento, avrebbe tenuto in ostaggio la madre cui l’imputato era legatissimo, come anche testimoniato da molti all’udienza di ieri che hanno affermato che lui, senza la donna, non avrebbe potuto vivere visto che non lavorava e a pagare tutto ci pensava lei tanto da avergli anche comprato una costosa fuoriserie.
Ieri, al processo, è stato anche sentito l’amico di Traverso che gli aveva fornito le fascette con cui poi il figlio avrebbe legato la madre.
La domanda dell’avvocato Mirate è stata diretta: “Lei non ha mai pensato che la morte di Igina Fabbri fosse frutto di una vendetta?”
La risposta: “Voci ne ho sentite ad Arquata, in quei giorni”.
Voci su cui il teste sapeva qualcosa tanto da alimentarle? Più avanti non va. Ma la difesa ha aperto il varco di una ricostruzione alternativa cui cercherà di aggiungere altri tasselli.
Ieri, inoltre, in un serrato confronto tra medici legali, si sono anche ipotizzati i tempi di agonia di Igina Fabbri. Finché è stata cosciente, prima che subentrassero i sintomi dell’assideramento, la donna avrebbe cercato disperatamente di liberarsi delle fascette legate dietro la schiena, anche camminando a piedi nudi nella stanza.
Resta da capire chi l’ha tenuta lì per ben due giorni di fila, al freddo e senza riscaldamento, facendola praticamente morire assiderata: se il figlio, Mauro Traverso, e di questo la Procura ne è convinta, oppure qualcuno che ce l’aveva con lui e su questo sta lavorando la difesa dell’uomo.