di Luciano Lago (Contro) – “The Deal of Century” americano, lanciato in pompa magna da da Donald Trump e dal premier israeliano Netanyahu da Washington, per un possibile accordo di pace israelo-palestinese, ha lanciato una sorta di bomba nello stagno di un conflitto che dura ormai da oltre 70 anni e che rappresenta il fulcro delle tensioni fra mondo arabo e Israele.
L’annucio dato da Trump, piuttosto che modificare la realtà geopolitica in Medio Oriente, rischia di creare un nuovo incremento del conflitto che apportererebbe nuove violenze e nuove tensioni in tutta l’area.
L’intenzione dei proponenti l’accordo sarebbe quella di avviare un nuovo processo per modificare i confini e le linee di demarcazione in Cisgiordania in modo da legittimare tutte le occupazioni dei territori palestinesi fatte da Israele negli ultimi anni, prevedendo la creazione di un “mini stato” palestinese, fatto a chiazze di territori separati l’uno dall’altro, tipo formaggio svizzero, senza continuità e senza sbocco al mare.
Uno stato nominale, demilitarizzato, disarmato e senza un proprio esercito, privo di sovranità sullo spazio aereo e senza acque territoriali, con la capitale a Gerusalemme est, dove l’America è pronta ad aprire un’ambasciata, sebbene Gerusalemme sia stata definita la “capitale indivisibile” di Israele.
La reazione dei palestinesi, come di altri paesi arabi non subordinati a Washington, è stata negativa e di rigetto radicale del piano.
La frase pronunciata da Abul Mazen, l’anziano leader palestinese ,”Gerusalemme non è in vendita”, ha buone probabilità di entrare nei libri di storia che ricorderanno questo maldestro tentativo delle potenze dominanti di dare un “contentino” alla popolazione palestinese in cambio di una resa totale agli occupanti.
Il piano previsto in modo unilaterale dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ben diverso da un accordo fra le parti, ha fatto seguito a un incontro con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, in cui i due premier hanno annunciato il loro ambizioso progetto per risolvere il conflitto in Medio Oriente.
In particolare, Trump e il genero Jared Kushner, da buoni immobiliaristi, hanno voluto far accettare il piano ai palestinesi riconoscendo loro “un bonus”, ovvero di poter considerare Gerusalemme est, nominalmente come capitale della entità palestinese, dove l’America è pronta ad aprire un’ambasciata, pur rimanendo Gerusalemme la “capitale indivisibile” di Israele.
Gli esperti ritengono che in realtà la capitale dello stato palestinese sia proposta per trasformare la città di Shuafat, a nord di Gerusalemme, quale riferimento dei palestinesi.
Trump ha anche menzionato i $50 miliardi assegnati da Washington alle necessità di un futuro stato palestinese con finanziamento dell’Arabia Saudita. Se i palestinesi accetteranno il piano, riconoscendo la proprietà delle terre ad Israele, saranno ripagati con quei denari.
Mancherebbe soltanto qualche “piatto di lenticchie” per far ingoiare l’accordo. Alcuni altri dettagli sono descritti da Netanyahu nella 80 pagine del piano.
Nessuna considerazione per i diritti dei palestinesi riconosciuti dalle tante risoluzioni delle Nazioni Unite e della illegalità delle centinaia di colonie costituite in modo arbitrario da Israele sulle terre e su quelle che erano le case della popolazione palestinese. Con i soldi si può sanare tutto, viene sottinteso dagli immobiliaristi.
Si nota da vari osservatori che Il piano Kushner/ Trump, attribuisce a Israele il controllo definitivo dei territori palestinesi, rende legali gli insediamenti da parte di Israele, garantisce l’occupazione perenne della Palestina ed è facile prevedere che tale piano sarà una ricetta per il disastro.
Basta poco per capire che questo piano non rappresenta una soluzione a due stati, né una soluzione per il mezzo stato. Il piano di Trump è una soltanto una ricetta per l’occupazione senza fine di un’entità palestinese stentata con poca o nessuna prospettiva di raggiungere una forma di stato autonomo o, tanto meno, un’autonomia di base libera dall’occupazione militare.
Questo spiega perchè nessun rappresentante palestinese ha partecipato alla presentazione a Washington del piano Trump celebrato da un presidente degli Stati Uniti che si trova sotto la minaccia di impeachment e da un primo ministro israeliano accusato di corruzione .
Gli unici partecipanti arabi che hanno assecondato il piano provenivano da quei paesi del Golfo che possono essere considerati clienti americani: il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti. Non erano presenti i rappresentanti di Egitto, Arabia Saudita e Giordania. Egitto e Giordania sono gli unici due paesi arabi ad avere trattati di pace con Israele.
Il fine occulto del piano, da parte di Trump e del gruppo dominante dei neocon, non è soltanto quello di smantellare il problema della Palestina ma anche quello di sostenere la rielezione di Netanyahu, per indicare il suo coinvolgimento diretto nella “realizzazione di quello che viene definito un accordo storico”.
L’essenza del progetto di Trump e del gruppo dei neocon di Washington è quella di ridefinire i confini del medio Oriente favorendo l’espansione di Israele che dovrebbe avere il riconoscimento delle sue annessioni, in Cisgiordania come sul Golan siriano e sulla zona annessa del Libano sud.
Questi sarebbero soltanto i primi passi poichè allo stesso tempo la situazione di Israele si collega ad una ridefinizione anche di altre zone del Medio Oriente, ad iniziare dall’Iraq, dove Washington considera essenziale, per mantenere la sua presenza, dividere le zone sunnite e curde dall’Iraq sciita. L’obiettivo è lo stesso che gli USA avevano in Siria, balcanizzare la regione, salvo il fatto che in Siria questo gli è stato impedito a costo di una lunga guerra e di centinaia di migliaia di morti siriani, caduti per difendere il loro paese.
Il piano proposto da Trump si fonda su precedenti storici che sarebbe lungo qui elencare, l’origine di tale piano proviene da una serie di progetti di ridistribuzione delle frontiere architettati dalla potenza coloniale britannica in passato.
Il momento scelto per trasferirlo sul piano della politica attiva non è casuale. Per la prima volta nella sua storia recente, il Medio Oriente è stato l’epicentro di forti sconvolgimenti geopolitici, con il riaffermarsi di potenze nazionali che avevano una presenza e dominazione nella regione, dalla Turchia neo Ottomana alla Persia. Washington vuole inoltre tenere lontana la Russia dal dettare la propria influenza nell’area Medio Orientale.
La tattica degli USA è quella di costringere i palestinesi ad accettare comunque, prendere o lasciare, in uno sforzo di pressione che obblighi una nuova leadership palestinese, opportunamente addomesticata, ad adottare il piano, che lo vogliano o no.
I dirigenti palestinesi che si opporrano potranno sempre correre il rischio di trovarsi un drone volante sopra di loro che li potrebbe seguire ed eliminare, come è accaduto al generale Soleimani ed a altri esponenti della resistenza.
I metodi della CIA e di Israele sono analoghi. Metodi che prevedono le minacce i ricatti e, per i più riottosi, l’eliminazione fisica. Gli stessi sistemi adottati dalle bande dei gangster di Chicago.