Gavi (r.c.) – Venticinque indagati e tredici misure cautelari, sette ai domiciliari, un divieto di dimora e cinque divieti di esercizio della professione per un anno, è il risultato conseguito dai Carabinieri di Gavi e Novi Ligure, coordinati dalla Procura della Repubblica di Alessandria, nell’ambito dell’operazione “Freedom” che ha messo con le spalle al muro la cooperativa Eliana di Grondona.
In base a quanto scoperto dagli investigatori, Operatori Socio Sanitari, OSS, educatori ed infermieri, per la maggior parte trentenni, che lavoravano per questa cooperativa si sono resi autori di una serie di maltrattamenti nei confronti di pazienti disabili mentali della Residenza Pratolungo, una comunità terapeutica alle porte di Gavi, in località Zerbi a Pratolungo, già qualche anno fa nel mirino dell’Asl Al e dei Nas per gravi carenze riscontrate nella struttura.
Le misure chieste dalla magistratura al Gip sono state eseguite stamane.
Un’indagine lampo, cominciata ad inizio anno in seguito alla denuncia presentata ai Carabinieri dai genitori di uno dei pazienti, affetto da sindrome di Asperger, una forma di autismo, e dettata dalla necessità di chiarire cosa stesse accadendo all’interno della struttura per evitare che i ‘maltrattamenti’ continuassero.
Le indagini hanno consentito di ricondurre a tutti i 25 dipendenti condotte abituali e sistematiche di maltrattamento nei confronti dei pazienti, consistiti in violenze fisiche, strattonamenti e spintoni, ingiurie, vessazioni, nonché continui e reiterati comportamenti denigratori e gravemente lesivi della dignità personale.
Tra i comportamenti più gravi quelli dei sette operatori ora ai domiciliari. In base alle immagini delle telecamere installate all’interno della struttura, i sette, dimostrandosi intollerabili ed irritabili, picchiavano i poveri pazienti, li spingevano a terra tenendoli per le braccia e alla fine, non contenti, li deridevano e li prendevano in giro.
Inoltre, per impaurirli ulteriormente, spesso li lasciavano in una stanza buia, da soli.
Le indagini dei Carabinieri hanno poi fatto emergere un’estrema rigidità nella condotta della stessa comunità terapeutica come l’inflessibilità degli orari di visita di genitori e parenti che non potevano nemmeno starsene un po’ da soli con i loro cari se non sotto stretta sorveglianza degli operatori dipendenti.
Gli investigatori hanno anche scoperto come attività di riabilitazione e assistenza non fossero assolutamente inserite nel programma della comunità terapeutica, cosa invece importante in questo tipo di strutture e con questo tipo di pazienti.
Una situazione insostenibile, insomma, tanto che alcuni “ospiti” avevano tentato la fuga per cercare aiuto nel mondo esterno, per scappare da quello che pareva, a tutti gli effetti, un vero e proprio carcere anziché una residenza assistenziale.
Ora a questa bruttissima storia i Carabinieri hanno messo la parola fine.