di Andrea Guenna – Siamo a ridosso della commemorazione dell’eccidio della Benedicta compiuto dai tedeschi tra il 6 e l’11 aprile del 1944 nei confronti di 147 giovani italiani renitenti alla leva che erano stati ammassati dai partigiani comunisti nella cascina Benedicta, un’antica abbazia situata nell’area di Capanne di Marcarolo nel comune di Bosio (AL) a poca distanza dal Monte Tobbio (1.092 m), nell’Appennino Ligure tra le valli Polcevera e Stura, non lontano da Genova. Francamente il luogo si presentava come il peggiore per garantire l’incolumità dei ragazzi in quanto non aveva vie di fuga, incastrato tra la montagna e la valle, una vera e propria trappola in cui sono cascati ingenuamente quei poveri giovani. Solo i pochi che hanno deciso di buttarsi giù di lì si sono salvati. Ne ho intervistato qualcuno una ventina di anni fa e le interviste sono già state pubblicate su giornali cartacei e su internet. Stavolta non mi preme trattare dei pareri (sorprendenti) di chi ha vissuto quell’esperienza, ma dei fatti, di cosa emerge di nuovo dalle prove che sono riuscito a raccogliere. E la verità, a proposito di quel periodo, ancora una volta è diversa da quella che certa propaganda di sinistra vuole far credere che sia.
Ma andiamo con ordine.
Il Bando Graziani
Il 9 novembre del 1943 La Repubblica Sociale Italiana (La Repubblica di Salò) chiamava alle armi i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925 (dai 18 ai 20 anni) per entrare nel nuovo esercito della Repubblica Sociale Italiana. Il bando era del maresciallo Graziani, ministro della difesa nazionale (riportiamo a lato il bando fatto affiggere dal Commissario Prefettizio di Modena). Contro i renitenti alla leva, considerati disertori, sarebbe stato applicato il codice penale militare e, se catturati, sarebbero stati passati per le armi. Ma Graziani non voleva uccidere dei giovani italiani e, in dispregio del codice penale militare in tempo di guerra applicato in tutto il mondo più o meno negli stessi termini, faceva un accorato intervento per radio in cui diceva: “Giovani soldati! Voi non potete titubare nella scelta, voi che sentite fortemente battere nel vostro petto il cuore della Patria che vi chiama, e vi indica la giusta e vera via da seguire. Vi attendono le vostre bandiere e i vostri capi legittimi. Vi attendono anche gli alleati germanici a combattere ancora una volta al loro fianco e ci restituiranno così la fiducia tradita non dal popolo, ma da chi doveva tutelare l’integrità e la lealtà dei patti sacrosantamente sanciti”. D’altronde il Bando Graziani non era stato l’unico bando destinato ai nostri soldati in quanto già il 18 settembre il Comando delle forze armate tedesche in Italia aveva diffuso questo: “I militari italiani di qualsiasi grado, anche quelli appartenenti a reparti scioltisi, dovranno presentarsi in uniforme presso il più vicino Comando militare germanico. I militari che non si presenteranno saranno deferiti al tribunale di guerra”. Ma fin da allora le autorità tedesche avevano mostrato di vedere gli ex militari italiani non come soldati bensì come operai da trasferire in Germania; e migliaia di loro, sequestrati come se fossero stati prigionieri di guerra, erano stati già trasportanti nelle fabbriche e nei campi di lavoro tedeschi, esattamente come accadde a mio padre Alberto Guenna, ormai trentenne, richiamato alle armi nel luglio 1943 nel corpo dei genio minatori, che fu rinchiuso nel lager Stalag III A di Luckenvalde da dove tornò in Patria due anni dopo.
Molti l’hanno fatta franca
Sono stati in molti i giovani italiani a sfuggire alle grinfie tedesche, prima nascosti in casa e poi fuggiti in montagna coi partigiani. A tutti appariva strana la scelta del comando partigiano della Brigata Garibaldi di ammassare tutti i giovani renitenti alla leva in una cascina isolata in cima ad un monte, del tutto indifesa e facile preda di chiunque, nella fattispecie l’esercito – pur stremato – ma più potente e organizzato dell’epoca: la Wehrmacht. Nel periodo che va dal novembre del 1943 a marzo del 1944, il parroco di Tagliolo don Francesco Pellizzari, a più riprese durante la messa aveva esortato i famigliari di quei ragazzi a non lasciarli uscire di casa, a nasconderli, perché quella, secondo lui (e anche secondo chi scrive) sarebbe stata la loro salvezza. Non era antifascista ed il regime lo vedeva di buon occhio, per cui sarebbe stato facile per lui intercedere positivamente per salvare i renitenti alla leva che i tedeschi stavano cercando.
Don Francesco Pellizzari
Don Pellizzari non riuscì nel suo intento, tranne che in quaIche rara circostanza, perché i partigiani della Garibaldi che presidiavano la zona erano riusciti a convincere i famigliari di quei ragazzi, renitenti al bando di Graziani, che l’unica cosa da fare era di ammassarli alla Benedicta, mentre la verità era che, essendo tutti in un unico luogo ben identificabile perché isolato e, nonostante tutto, raggiungibile facilmente con ogni mezzo, costituivano un bersaglio fin troppo facile. Erano finiti in una vera e propria trappola, perché la Benedicta non poteva garantire le classiche quattro vie di fuga, ed era completamente priva di difesa sul lato orientale. Quei ragazzi erano stati abbandonati da tutti, anche dai garibaldini della Brigata “Liguria” che, molto probabilmente, sapevano molte cose sugli eccidi di Borlasca e di Tagliolo Monferrato. Erano letteralmente spariti lasciando in pasto ai tedeschi i compagni della Brigata Alessandria, sterminata. Ed ora è chiaro che l’esortazione ripetuta come un mantra da Don Pellizzari deve aver disturbato qualcuno, magari presente a qualche Messa durante la quale il parrocho aveva ripetuto quell’invito, un invito che, se fosse stato raccolto da tutti, avrebbe potuto far saltare i piani terroristici di chi voleva dei morti per scatenare la reazione e le inevitabili rappresaglie nazi-fasciste per giungere alla ormai altrettanto inevitabile guerra civile nel tentativo di portare il comunismo al potere anche in Italia trasformata nell’Ungheria del Mediterraneo.
La scomparsa nel nulla
Agli occhi di qualcuno quel parroco doveva essere, non solo punito, ma eliminato, affinché non ostacolasse più certi piani. Fu così che una notte, probabilmente con la scusa di un moribondo che aveva bisogno dell’Estrema Unzione, alcuni tagliolesi (fra i quali i bene informati ricordano due fratelli di Tagliolo, notissimi comunisti dei Gap, o almeno, uno di essi) si introdussero in Canonica, prelevarono l’ignaro prete ormai sessantenne, e lo portarono in un luogo in aperta campagna. Scomparve fino al 2013 quando un agricoltore di Predosa, scavando in un campo, trovò molti cadaveri di soldati tedeschi e italiani ancora in divisa, ed un prete ancora con l’abito talare indosso. Molto probabilmente si tratta di Don Pellizzari e, a questo proposito, riportiamo un rarissimo video di sei anni fa nel quale il signor Pollarolo ci racconta quello che sa (schiacciare il freccione nel fermo immagine sopra).
Il racconto di Pollarolo
In quella sconvolgente intervista amatoriale effettuata nel settembre del 2013 da Alessio Rocca di Predosa, fatta pervenire anche a noi dopo essere stata pubblicata su You Tube, Italo Pollarolo, 84 anni di Predosa, racconta cosa è successo dopo il ritrovamento di quei cadaveri nel pozzo. È molto probabile che Don Francesco Pellizzari fosse proprio quel prete buttato nella fossa comune insieme ai soldati. L’unica cosa che si può dire è che aveva ragione, e ciò gli fu fatale. Ora non resta che un’ultima, amara considerazione, e cioè che l’unico amico di quei poveri ragazzi della Benedicta fu un prete di sessant’anni di un piccolo paese dell’ovadese che ha osato sfidare la menzogna e la malafede.
Anche lui è morto per questo.
Terroristi comunisti operanti nella zona
La verità è che all’inizio del 1944 la situazione era già compromessa da alcune azioni terroristiche messe a segno dai Gap (Gruppi d’Azione Patriottica), costituiti clandestinamente e composti all’inizio da alcune decine di terroristi comunisti (le Brigate Rosse del tempo) quasi tutti provenienti dalle Brigate Internazionali in azione già dai tempi della guerra di Spagna del 1936, e dalle file del gruppo terroristico internazionale di stampo francese Ftp (Francs Tireurs Partisans). Fra questi vi erano anche quelli che chiameremo “i due fratelli di Tagliolo”, amici e stretti collaboratori di Palmiro Togliatti, schedati dall’Ovra (Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo) i quali, seguendo alla lettera le direttive di Luigi Longo (il partigiano Gallo), si adoperarono immediatamente per alimentare l’entusiasmo per la lotta clandestina tra i giovani della zona, molti dei quali non erano neppure di leva, e renderli subito irreperibili per poi mandarli sui monti a fare i partigiani.
Si tratta di una brutta storia: non c’è niente da commemorare
Intanto erano iniziate le esecuzioni sommarie ad opera dei gappisti (a Borlasca, sul monte Zuccaro, a Tagliolo, ad Ovada ecc.) che avrebbero avuto l’effetto di scatenare la reazione dei “Ragazzi di Salò” e della Wehrmacht, che prima di allora non avevano compiuto nessuna rappresaglia.
Era ormai la guerra civile, una guerra civile che poco tempo prima non voleva quasi nessuno.
Tornando alla Benedicta, è del tutto evidente che i tedeschi, raggiunti i ragazzi renitenti nascosti in quella cascina, credettero di aver messo le mani sulle bande dei partigiani autori di vari attentati di cui erano alle calcagna, mentre invece i veri responsabili erano svaniti nel nulla. Inutile ricordare che la situazione precipitò andando fuori controllo per cui, a partire dall’estate del 1944, la reazione fascista risultò sempre più difficile da contenere. La tensione era ormai al calor bianco, alimentata anche dai gappisti e da delinquenti comuni che, approfittando del caos generale, misero a segno vari crimini. Oltre al martirio di Don Francesco Pellizzari, Parroco di Tagliolo, vi fu quello della signorina M.C., anche lei di Tagliolo, forse la stessa di cui parla Pollarolo nell’intervista. Ma se per la seconda non si conoscono le vere ragioni della sua tragica fine, per la scomparsa del parroco, invece, la spiegazione sembra finalmente esserci.
Per Don Francesco Pellizzari, parroco di Tagliolo, Diocesi di Acqui Terme, trucidato dai partigiani comunisti, non ci sono dubbi: è un martire, ed è una vergogna inaccettabile che la Chiesa e la Curia di Acqui Terme l’abbiano abbandonato e dimenticato.