Cagliari (Agi) – Dopo uno scrutinio che pareva infinito, dalla Sardegna è arrivato un responso: le elezioni regionali sono state vinte dal centrodestra e Christian Solinas è il nuovo presidente. Solinas succede a Francesco Pigliaru, eletto presidente nel 2014 con una coalizione di centrosinistra. Ma il quadro non potrebbe essere più diverso rispetto a 5 anni fa.
Prima di vedere i risultati in dettaglio, vediamo com’è andata la partecipazione al voto: l’affluenza definitiva si è attestata sul 53,7%, un dato non eccezionale ma comunque in aumento rispetto alle precedenti Regionali, quando aveva votato il 52,2%. Il calo rispetto alle Politiche dell’anno scorso, in cui l’affluenza fu del 65%, è invece piuttosto normale trattandosi di un’elezione locale. Come mostra la nostra mappa interattiva, non si è trattato di una partecipazione uniforme: se in alcuni comuni sono andati a votare meno di 4 elettori su 10, in altri l’affluenza è arrivata quasi a sfiorare il 70%. Una dinamica “a macchia di leopardo” di questo tipo non è infrequente, ma si tratta comunque di differenze notevoli.
Altrettanto variegata è la mappa che ci mostra le differenze di affluenza rispetto alle precedenti Regionali. In generale, si nota come in provincia di Nuoro e sulla costa orientale ci siano stati i cali più pronunciati, mentre nella parte meridionale (cagliaritano, iglesiente) vi sia stato in generale un aumento della partecipazione.
E veniamo ai risultati. Contrariamente a quando si è ritenuto in un primo momento sulla base degli exit poll diffusi subito dopo la chiusura dei seggi – e che parlavano di un possibile testa a testa tra Solinas e Zedda – la vittoria di Solinas è stata molto netta. Al candidato del centrodestra è andato il 47,8% dei voti totali, circa 15 punti in più rispetto al sindaco di Cagliari, che si è fermato al 32,9%. Ma gli exit poll non hanno sovrastimato solo Zedda: anche il risultato di Desogus, candidato del M5S, 11,2% è risultato molto inferiore al 13,5-17,5% di cui era stato inizialmente accreditato: Desogus non è andato oltre l’11,2%.
Ciò che invece gli exit poll avevano correttamente fotografato è la differenza tra il voto ai candidati presidente e quello alle liste in loro sostegno. Da questo punto di vista, Solinas si è rivelato complessivamente un candidato meno “forte” della coalizione che lo sosteneva (la differenza è di circa 4 punti percentuali).
Al contrario, sia Zedda che Desogus hanno fatto meglio delle loro liste, anche se questo non è necessariamente da attribuire al voto disgiunto: tutti i voti validi espressi (anche quelli che vanno solo a una lista) vengono automaticamente ricondotti a un candidato presidente, mentre i voti dati solo a questi ultimi non si estendono alle loro liste (a differenza di quanto avviene alle Politiche con il Rosatellum). Per questo, più che a una presunta “debolezza” o “forza” dei vari candidati, è forse più corretto affermare che le liste di centrodestra siano state nel complesso più efficaci di quelle di centrosinistra e M5S.
La polemica sugli exit poll non ha senso
Fin dai primissimi dati di scrutinio giunti dalle sezioni è apparso chiaro come il distacco di Zedda fosse difficilmente colmabile. Ad ogni modo è inutile, e probabilmente fuori luogo, mettere sotto accusa gli exit poll: si tratta, come noto, di uno strumento con dei forti limiti metodologici. In questa occasione, peraltro, è stato utilizzato per assenza di alternative: lo scrutinio sarebbe iniziato solo il lunedì mattina e non era possibile quindi fare affidamento sulle più “robuste” proiezioni (basate su dati reali) per avere un’indicazione – per quanto approssimativa – già la domenica sera.
La vittoria di Solinas, dicevamo, è stata netta ma non “totale”. La nostra mappa mostra come Zedda sia riuscito a giungere in prima posizione in diversi comuni, tra i quali due capoluoghi (Cagliari e Nuoro, a cui si potrebbe aggiungere l’ex capoluogo Villacidro). La variabilità del voto nei diversi comuni è tale che in alcuni casi a primeggiare sono stati Desogus (M5S) e il candidato indipendentista Manichedda, giunti nel complesso molto staccati dai primi due.
Che la competizione sia stata però sostanzialmente bipolare lo dimostrano anche le mappe dei due candidati più votati, Solinas e Zedda: osservando la diversa “intensità” del risultato, si può notare che mentre Solinas è stato particolarmente forte nel nord e nella parte sudorientale, Zedda ha ottenuto i suoi migliori risultati nella Sardegna centrale e nel sud-ovest della regione.
Chi sono, quindi, vincitori e sconfitti di queste elezioni? Senza dubbio, il centrodestra può affermare di aver vinto, avendo riconquistato una regione in cui in precedenza governava il centrosinistra. All’interno del centrodestra, però, vi sono diverse “sfumature” da considerare. Al netto del grande successo del PSdAz (terza lista in assoluto con circa il 10% dei voti), se usiamo come parametro di riferimento i voti ottenuti alle Politiche 2018 per misurare lo “stato di salute” dei partiti nazionali otteniamo indicazioni interessanti.
In termini assoluti tutti i partiti registrano delle perdite, il che è assolutamente normale trattandosi di una competizione locale (con minore affluenza e moltissime liste civiche o territoriali ad arricchire l’offerta rispetto alle Politiche). Quello che cambia è l’entità delle perdite: Forza Italia perde oltre 70 mila voti, fermandosi all’8% dei consensi. Cala anche la Lega, che si ferma poco sopra l’11% e perde circa 13 mila voti rispetto al 4 marzo scorso: qui però bisogna ricordare che la Lega alle Politiche aveva stretto un accordo proprio con il PSdAz (lo stesso Solinas, segretario del partito sardo, era stato candidato ed eletto al Senato nelle liste del partito di Salvini); e il PSdAz, correndo con una propria lista, ha ottenuto in questa occasione ben 70 mila voti. Sicuramente positivo è il dato di Fratelli d’Italia, che ottiene praticamente gli stessi voti delle Politiche nonostante i caveat di cui si è detto.
Perde voti anche il Partito Democratico (-34 mila) che però può consolarsi con la palma di lista più votata con il 13,4% e soprattutto per la ritrovata capacità, in Sardegna come in Abruzzo, di costruire delle coalizioni ampie intorno a candidati credibili capaci di attrarre all’incirca un terzo delle preferenze degli elettori.
Il M5s soffre le preferenze
La vera sconfitta senza appello è quella del Movimento 5 Stelle. Nonostante il M5S regionale si dichiarasse “molto soddisfatto” dei risultati parlando di un miglioramento rispetto alle Regionali 2014 (quando i pentastellati non si presentarono) è impossibile ignorare che in meno di un anno il partito di Di Maio è passato dall’essere il più votato (con oltre il 40% e quasi 370 mila voti) al diventare una forza residuale (la quarta, con meno del 10%) molto lontana dall’essere competitiva per la vittoria. Inutile prendersela con la legge elettorale che prevede coalizioni e preferenze, che non ha mai impedito al M5S di arrivare al 20-30% in altre elezioni, regionali o comunali: quando in meno di un anno si perdono 300 mila elettori che, sia pure rispetto a un’elezione nazionale, scelgono di votare qualcun altro – o di non votare affatto – c’è chiaramente qualcosa che non va.
È però vero che il M5S è un partito che soffre le elezioni dove sono previste le preferenze. Lo confermano anche le elezioni in Sardegna, dove la classifica dell’indice di preferenza (rapporto tra voti ottenuti da una lista e preferenze raccolte dai suoi candidati) vede ai primi posti liste civiche o locali, quasi sempre facenti parte della coalizione di Solinas o Zedda.
Un basso indice di preferenza è tipico delle liste che raccolgono un voto più “di opinione” e meno indirizzato ai singoli candidati consiglieri (spesso per un rapporto di fiducia o conoscenza diretto, personale). In certi casi l’indice è superiore a 1 perché in Sardegna – come in molte altre regioni – la legge consente di esprimere fino a due preferenze, purché vadano a candidati di sesso diverso (la cosiddetta “preferenza di genere”).