Ovada (Anna Briano) – Qual era lo stato di salute psicologica di Aurela Perhati (nella foto) durante il primo interrogatorio in caserma il 4 gennaio? La ventiquattrenne ovadese, ora in carcere con l’accusa di aver ucciso il clochard Massimo Garitta investendolo nella notte di San Silvestro, si sarebbe infatti contraddetta più volte fino ad apparire farneticante, tanto che la richiesta dei suoi avvocati circa una perizia sulla sua testimonianza di allora è stata accolta dal giudice Paolo Bergero proprio in queste ore. Ad occuparsene sarà lo psichiatra Gabriele Rocca, che avrà il compito di accertare se le parole della Perhati in quel frangente fossero sufficientemente attendibili o se l’unica versione di cui tener conto sia quella presentata in seguito al giudice, di fronte al quale fornirà dichiarazioni che i legali Giuseppe Cormaio e Marco Conti ritengono tutt’ora “logiche e coerenti” e che, sempre secondo loro, “ribadiscono un dato preciso: Aurela subì un’aggressione a scopo sessuale”.
In effetti, a differenza del quadro a tratti bizzarro emerso inizialmente quando l’indagata aveva affermato di aver dato un passaggio a Garitta perché le faceva pena, la deposizione in aula appare lineare: “Quella notte ho dato un passaggio a Massimo Garitta perché cercavo droga. Mi sentivo fortemente depressa, dopo un episodio di qualche tempo fa, per cui sono stata ricoverata. Non lo conoscevo, se non di vista, ma tutti sapevano in paese i suoi trascorsi e che all’occorrenza spacciava”. Da qui sembra allora che Aurela Perhati si sia rivolta a quel piccolo spacciatore in cerca di una dose. Ma perché caricarlo in auto e raggiungere un’area tanto isolata? Pur ipotizzando che l’uomo possa averle detto di tenere altrove la propria merce, e che lei l’abbia caricato con l’intenzione di andarla a recuperare insieme, il luogo raggiunto dai due, dove Garitta perderà la vita, era un prato, non un appartamento o una baracca abbandonata. Come mai, vedendosi indicare un posto simile, pressoché deserto, la ragazza non si è insospettita circa le possibili mire del passeggero? E se lo ha fatto, perché ha comunque proseguito abbandonando la strada ed inoltrandosi nel campo dal quale poi fuggirà lasciando agonizzante il suo ipotetico aggressore?
Tutto questo dovrà certo essere chiarito in sede processuale, poiché è anche dalle ragioni che hanno indotto Aurela a guidare con Garitta a bordo fino al luogo del delitto che dipende la solidità di parte delle tesi della difesa. Un passaggio chiave, insomma, al quale potrebbe seguire la conferma dell’ipotesi di tentato stupro e d’incidente causato dallo stato di choc nell’atto della fuga, oppure alcuni risvolti inaspettati e, addirittura, un colpo di scena.