Si prova vergogna perché pensiamo che gli altri ci giudichino continuamente. Siamo, in realtà, inconsapevoli di essere noi stessi a giudicarci. Abbiamo interiorizzato una piramide di valori a cui diamo una certa importanza e, se non li rispettiamo, allora ci vergogniamo. A volte è sufficiente rivedere la nostra scala di valori per stare meglio e non ridurci come un oggetto a cui guardare con disprezzo. Non fraintendetemi, la vergogna può essere anche positiva. Soprattutto di questi tempi in cui sembra che non ci sia più. Perdonate lo spirito ciceroniano dell’O tempora, o mores!
La vergogna, come tanti altri sentimenti, si impara proprio dal contesto in cui si cresce. Determinante è il ruolo materno, così come quello paterno. Ma anche la cultura e la società contribuiscono a far emergere un certo “stile” di vergogna. Tornando alla famiglia, se la madre è troppo assente allora il bambino svilupperà più il senso di colpa, mentre se la madre è opprimente il bambino farà emergere più l’emozione della vergogna. Insomma, lo “stile” di attaccamento è fondamentale, e non solo per la vergogna. Infatti, sappiamo che persino per il tema del femminicidio o per quello del bullismo si può parlare di stili di attaccamento tra madre e figlio.
Innanzi tutto, per associazione di idee. Ricordavo che Primo Levi ne aveva parlato ne “I sommersi e i salvati” e che mi aveva colpito perché anch’io ho trovato l’emozione della vergogna fuori luogo per chi era sopravvissuto. Poi, col tempo e l’esperienza, mi sono resto conto di che cosa intendeva dire Primo Levi con la vergogna di appartenere a una specie, quella umana, che provoca fame e morte. In secondo luogo, perché dal punto di vista psicodinamico è interessante capire come possa svilupparsi un sentimento così “anacronistico” in persone sopravvissute alle camere a gas. E soprattutto, non voglio svelare troppo, è interessante come quel sentimento si possa trasmettere di generazione in generazione.
In realtà la vergogna rimane anche su internet, un’emozione legata agli altri, al giudizio altrui e a quella scala di valori di cui prima parlavamo. La vergogna è cambiata in quanto si è ridimensionata come emozione. Oggi una ragazzina può vendere il suo corpo online senza provare questa antica emozione che aveva, invece, assalito Eva prima della cacciata dal Paradiso terrestre. Oggi un ragazzino può cyberbullizzare un suo coetaneo senza provare alcuna empatia nei confronti della sua vittima. Penserete che succedeva anche prima che la gente non si vergognasse di queste cose. Ma oggi non avviene più in piazza, sotto gli occhi vigili di madri morigerate. Oggi accade su una piattaforma globale di cui, spesso, i genitori sono totalmente inconsapevoli.
Alla fine si può dire che per superare la vergogna bisogna fare sempre un’accurata check list di tutte le cose buone che si sono fatte nella vita, porsi degli obiettivi realizzabili e circondarsi di persone che spingano all’emulazione e non all’invidia.