di Andrea Guenna – Il campanello (e non ancora campanella) d’allarme è suonato quando ho letto su alcuni quotidiani qualcosa sulla “Cerimonia del Campanello” a Palazzo Chigi che qualche titolista ha ribattezzato “Cerimonia della Campanella”. Non ci siamo, ho pensato, questa non è più una battaglia linguistica ma una vera guerra dichiarata dai soliti ignoranti che sono sempre la maggioranza.
A dispetto dei saccenti di sinistra che ritengono di essere gli unici depositari dello scibile mentre noi di destra siamo degli ignoranti, ricordo che Giovanni Gentile (in una foto degli Anni Trenta), ormai da molti (anche all’estero) riconosciuto come il più grande ministro della cultura di tutti i tempi, di tutto il mondo, pur non essendo di sinistra ha realizzato la scuola perfetta come la voleva il Duce, la nostra, che è rimasta tale fino a quando non sono arrivati il sessantotto e gli sconquassi effettuati da ministri sinistri quali Luigi Berlinguer, Giuseppe Fioroni, Fabio Mussi, Stefania Giannini e Gabriella Fedeli che ha detto di essere laureata anche se la laurea non l’ha mai presa. Ha chiesto scusa del “lapsus” ma, invece di dimettersi come avrebbe fatto una persona seria, è sempre lì a fare la ministra.
La lingua più bella del mondo è agonizzante
Questo preambolo è necessario in quanto, non molto tempo fa il professor Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, ha dichiarato pubblicamente che la difesa della lingua italiana è ormai quasi una battaglia persa in quanto il travolgente idioma dei social sta avendo la meglio sul resto. E abbiamo, talvolta, il verbo avere che al presente indicativo ha perso l’acca iniziale, gli apostrofi che diventano accenti, le desinenze che perdono le vocali per cui disegniamo diventa disegnamo, e via dicendo. Ma non è tutto perché i sostantivi cambiano genere. Mi direte: che c’è di strano, anche gli esseri umani lo fanno, con uomini che diventano donne e viceversa, o che appartengono alla cosiddetta cultura LGBT, dove regna il caos più totale. Tuttavia, a proposito del cambiamento di genere, stavolta solo grammaticale, sono sempre di più quelli che dal fruttivendolo o al ristorante chiedono delle zucchine che in verità sono zucchini. Infatti la zucchina è una particolare qualità di zucca, più piccola, mentre lo zucchino è un’altra cosa e, anche se diventa molto grande, non sarà mai una zucca. Insopportabile poi la mania dei nomi propri, come nel caso di quelle mamme che chiamano le bambine Andrea che è il nome più maschile in assoluto perché deriva dal greco andros, uomo forte, guerriero.
Lemmi e dilemmi
È vero, ma i lemmi, i verbi, la grammatica, la sintassi sono regole che non dovrebbero cambiare, altrimenti è il caos e si finisce per non capirsi più, il che è pericoloso per l’umanità. E non sto esagerando perché Yahweh per punire gli uomini che avevano costruito la Torre di Babele, li ha condannati a parlare lingue diverse affinché non si capissero più fra loro e, a causa delle mille incomprensioni, iniziassero a farsi la guerra ammazzandosi senza pietà. Allo stesso modo si assiste oggi allo stravolgimento delle regole di grammatica e di sintassi che minano alla base il sapere.
E si torna a leggere dappertutto che fra poco suonerà la campanella che stabilirà l’inizio dell’anno scolastico. Ci risiamo: non è una campanella ma un campanello perché fra driiin ed è elettrico. Infatti, come si può leggere nella didascalia dell’immagine sopra, un conto sono le campane, altro sono i campanelli che sono elettrici, a pressione, per la bicicletta, solo per citarne alcuni.
A questo proposito, purtroppo, sul foglio della Fca si legge: “Domani, in provincia, al suono della campanella, saranno 46.202 gli studenti che torneranno sui banchi per affrontare le sfide del nuovo anno scolastico”, sfide perse in partenza se l’inizio è questo. La lingua è importante in quanto espressione della cultura d’un popolo, della sua tradizione, della sua storia. Dire o scrivere campanella per indicare lo strumento che suona per dare il via alle lezioni a scuola, è un po’ come se si scrivesse carrozza per indicare un’automobile. D’altronde il grido d’allarme del professor Marazzini è la dimostrazione che neppure l’Accademia della Crusca riesce a spuntarla contro la diffusa nonché tracotante ignoranza che sta causando la progressiva caduta nel gorgo della barbarie per cui, di questo passo, finiremo come ai tempi dell’Impero Romano d’Occidente che dovette arrendersi ai barbari vincitori. Anche in quella circostanza il Latino cedette piano piano al volgare figlio del latino maccheronico. Ma per fortuna poi vennero Dante che rimise le cose a posto, e poi il Manzoni.
L’importanza dei dettagli
Mi preoccupo perché il mio mestiere prevede l’uso della lingua italiana, ma questa lingua non è più la stessa, nel senso che non subisce una naturale evoluzione ma è stravolta e si dibatte nel caos. Ultimamente si nota sempre più spesso che in molti non sanno maneggiare neppure gli articoli indeterminativi e dimenticano che al femminile, avendo a disposizione solo l’articolo “una”, se incontra una vocale deve essere apostrofato, mentre al maschile, essendoci le due opzioni “un” e “uno”, l’apostrofo non serve. Ebbene, nel caso si dovesse apostrofare un aggettivo che inizia con una vocale, sono dolori perché leggo sempre più spesso di neutri (che sono sia maschili che femminili) come, per esempio, “autorevole”, “intelligente”, “esuberante”, “affascinante” che, essendo riferiti ad una donna, e iniziando con una vocale, dovrebbero imporre l’apostrofo all’articolo indeterminativo ma sono scritti “un autorevole”, “un intelligente”, “un esuberante”, “un affascinante”, invece di “un’autorevole”, “un’intelligente”, “un’esuberante”, “un’affascinante”, il che consentirebbe, in assenza di altri elementi, di identificare immediatamente il sesso della persona in oggetto anche solo tramite un semplicissimo apostrofo. Per esempio, una cosa è scrivere “un’autorevole presidente”, altra cosa è scrivere “un autorevole presidente” poiché nel primo caso ci riferiamo a una donna e nel secondo ad un uomo.
Strafalcioni ad libitum
Ecco la perfezione e la completezza della nostra lingua a differenza delle altre, una lingua che ha tremila anni di storia, partendo dal greco, passando dall’etrusco, arrivando al latino per arrivare a noi. Una lingua che stiamo violentando in nome d’una rivoluzione inutile e dannosa, mentre sarebbe meglio farne una utile (in questo caso “una” è scritto senza apostrofo in quanto è diventato sinonimo di rivoluzione e non è più un articolo) per mandare a quel paese chi ci sta rovinando la vita con la finanza e la globalizzazione a scapito di tutto il resto. A molti di noi non rimane altro che il pessimo trastullo di storpiare l’italiano e si arriva a dire, parlando d’una persona tutta d’un pezzo, che “ha la schiena diritta” mentre una volta si diceva che “andava a testa alta”, il che presuppone pure di avere la schiena diritta, ma con un altro significato in quanto l’avere la schiena diritta ha sempre identificato un fannullone che non ha voglia di lavorare. Poi ci sono quelli che sanno male l’italiano e l’inglese ma nel dubbio fanno capo al secondo e storpiano il primo. Per esempio, parlano di preziosità mentre in italiano si dovrebbe dire pregio. Oppure di emozionale, mentre in italiano si dovrebbe dire – distinguendo – emotivo od emozionante. E nascono nuovi aggettivi, del tutto impropri, come quello che tizio è una persona solare invece di aperta, gioviale, simpatica, estroversa, in quanto di solari ci sono solo le fasi e i pannelli fotovoltaici.
Neologismi sballati e fuorvianti
Gli è che anche chi ha studiato ormai si lascia sopraffare dall’ignoranza, come i magistrati che non hanno mai protestato per l’aggettivo o pronome deverbale “indagato”. Infatti il verbo indagare è intransitivo, ma le cancellerie lo usano (meglio, ne abusano) in senso transitivo: “il registro degli indagati”, “io indago lui”, “lui è indagato”. Dovrebbe dirsi invece il registro degli inquisiti: “io inquisisco lui”, “lui è inquisito”, proprio perché inquisire, a differenza di indagare, è verbo transitivo.
E che dire di quei politici e di quei giornalisti che chiamano Consulta la Corte Costituzionale? Dovrebbero sapere che la Consulta era (ed è in ogni caso) un organo consultivo della Chiesa prima della Breccia di Porta Pia e risiedeva nel palazzo che oggi è occupato dalla Corte Costituzionale che, tuttavia, non può essere una consulta, proprio perché è il massimo tribunale del Paese quindi un organo giudicante, quindi deliberante. Ma loro leggono “Palazzo della Consulta” e sono convinti che la Suprema Corte sia un organo consultivo.
Poi ci sono quelli che scambiano l’aggettivo “alcun-o” con “nessun-o”. Stiamo parlando dell’italiano e non del francese dove si usa sempre “aucun” alcuno, che, tradotto in italiano, dà sia “alcuno” che “nessuno”, a seconda dei casi. Se in coppia con l’avverbio “non”, in italiano la forma corretta è solo quella con nessuno: “Io non ho nessun problema a spostarmi”, e non invece: “Io non ho alcun problema a spostarmi”.
Donne “in cinta”
Non parliamo poi di quelli che confondono l’accento con l’apostrofo: “Dammi un po’ di pane” diventa per loro: “Dammi un pò di pane”. Quelli che usano impropriamente l’accento non sanno che “po’” vuole l’apostrofo in quanto forma apocopata (da apocope) di poco. E da apocope deriva, appunto, il termine apostrofo. Perfino molti laureati sbagliano, a dimostrazione che la laurea non fa diventare colti perché la cultura si acquisisce in famiglia (ma, ahimé, la famiglia è esplosa) ma soprattutto a scuola, alle superiori (purtroppo non c’è più il liceo serio di una volta) e con studi classici che donano una formazione armoniosa e culturalmente completa.
Ma c’è anche chi è convinto che incinta sia in effetti una forma sintattica composta dalla preposizione semplice “in” e da un ipotetico avverbio “cinta”, e non si tratti invece d’un aggettivo esclusivamente femminile che si scrive “incinta”, un deverbale dall’arcaico “incingere” concepire. Ebbene questi qua – mi riferisco anche a letterati, medici, giornalisti – parlano disinvoltamente di donne “in cinta” anziché di donne incinte, che è il corretto plurale di incinta. E casca l’asino.
Come diceva, credo, lord Brummel, è dai particolari che si riconosce un signore, ed io aggiungo: una persona colta.
E… buona serata a tutti!
Temo che ci abbiano rovinato le lingue straniere, soprattutto il francese e l’inglese che hanno inquinato l’italiano. Per esempio molti credono che il pronome inglese you significhi “tu”, mentre può significare anche “voi”. Alla Regina ci si rivolge con you ma in questo caso è un “voi”, ovviamente. Questo errore, a noi che siamo esterofili, ha creato un sacco di confusione per cui, volendo imitare i sudditi di Sua Maestà, non sappiamo più quando salutare con ciao o con buongiorno e buonasera. Per tagliare la testa al toro oggi si saluta sempre più frequentemente coi generici buona giornata e buona serata che van bene sia col tu che col lei (voi in inglese). Insomma, noi italiani, beneficiari della lingua più bella e completa del mondo, importiamo termini linguistici dai barbari e li mescoliamo ai nostri. Usiamo la lingua degli altri e non ci rendiamo conto di quanto sia bella la nostra. E i barbari, alla fine, siamo noi.
Niente paura, per ora mi fermo qui. Dei congiuntivi tratterò un’altra volta.