di Andrea Guenna – Nel 2010 sono stato nella Repubblica Democratica del Congo (ex Congo Belga) in missione umanitaria in rappresentanza del Sovrano Militare Ordine del Tempio. Ospite dei frati saveriani a Bukavu (nella foto mi si vede insieme ad alcuni amici del posto), ho avuto modo di constatare come l’Unicef, almeno là, sia un totale fallimento. In poche parole costa un sacco di soldi e non fa niente, assolutamente niente. I suoi rappresentanti in loco restano chiusi in casa nel bel quartiere residenziale sulle rive del lago Kivu. Gli stessi frati che mi ospitavano, gli unici che garantiscono un minimo di civiltà in quella zona dell’Africa dove, se andassero via domattina, tornerebbero tutti nella foresta, puntavano il dito contro gli indolenti rappresentanti di Onu e Unicef, tanto pagati quanto inefficienti.
Un bilancio fallimentare
Dopo oltre settant’anni di vita e dopo aver speso oltre mezzo trilione di dollari, l’Onu, con annessi e connessi compreso l’Unicef, ha solo soddisfatto le frivole riunioni del tè di troppe carampane ingioiellate che parlano col birignao e che mai e poi mai andrebbero nel Terzo Mondo, sprofondate nella merda in cui vivono le popolazioni del luogo, per aggirarsi tra i liquami infetti che alimentano i fiumi per tirare fuori i bambini malati da curare, nutrire, educare e istruire. No, loro fanno le manifestazioni, organizzano stucchevoli corsi all’università della terza età e inutili conferenze sulla situazione dell’infanzia sul pianeta. Come è succcesso il 20 novembre scorso in prefettura ad Alessandria, dove la prefetta Tafuri ha ricevuto in pompa magna la delegazione Unicef nel corso della solita cerimonia di presentazione del Rapporto dell’associazione del 2016 alle autorità civili, militari e religiose della provincia in occasione del 27° anniversario dell’approvazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per cui si festeggiava in tutto mondo la Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
I festeggiamenti di un’ecatombe
Cosa ci fosse da festeggiare, dato che nel mondo i bambini continuano a morire di fame e di malaria, non ci è dato sapere. È proprio l’Unicef a rendere noto che, a tutto il 2011, ogni anno 11 milioni di bambini muoiono per cause facilmente prevenibili mentre 200 milioni sono affetti da rachitismo per malnutrizione e oltre 110 milioni non vanno a scuola. Nei Paesi in via di sviluppo il 39% dei piccoli sotto i 5 anni è affetto da rachitismo e sono più di 170 milioni quelli sottopeso. 30 milioni di bambini non sono protetti dalle vaccinazioni obbligatorie (nel primo anno di età), e 2 milioni di bambini muoiono per malattie diarroiche ed altri disturbi legati al consumo d’acqua non potabile. Ancora oggi ogni minuto 6 ragazzi sotto i 25 anni sono infettati dall’HIV soprattutto in Africa: su 2.800.000 persone morte nel 2010 per questo virus il 79% erano africani. Ogni anno muoiono 1 milione di puerpere e 5 milioni di neonati. Oltre 2 miliardi di persone sono malnutrite e per questo motivo moltissimi bambini sono soggetti alla caduta dei capelli fino alla calvizie, alla perdita delle unghie e talvolta anche del primo strato di pelle.
Inutili riunioni di carampane ingioiellate
E, nonostante tutto ciò, le carampane ingioiellate dell’Unicef sorseggiano i tè a casa dell’una e dell’altra a turno disquisendo in birignao sul nulla. Sono 70 anni che lo fanno. Molte di loro, essendo già vecchie, sono morte. Nel frattempo ne sono arrivate altre più giovani ma non è successo niente. Tuttavia la prefetta Romilda Tafuri ha ritenuto essere cosa buona e giusta festeggiare l’attività dell’Unicef nel Salone di Rappresentanza della Prefettura, invece di denunciarne i responsabili per crimini contro l’umanità, secondo il principio cristiano per cui non si pecca solo facendo il male ma anche astenendosi dal fare il bene che si può fare. Con l’aggravante che quelle frequentatrici dei pomeriggi del té si sono iscritte all’Unicef con l’unico scopo di raggiungere la promozione sociale tanto agognata. Snob, niente di più, niente di meno. Snob nel senso di sine nobilitate. Tant’è, la prefetta Tafuri, che è di CL (buoni quelli!), nel dare il benvenuto alle autorità, agli studenti ed agli insegnanti presenti, ha ricordato l’importanza della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, auspicando una sempre maggiore attenzione nei confronti della tutela dei minori e dei più fragili, secondo i dettami suggeriti dalla Convenzione, e ricordando in particolare i diritti violati in tutto il mondo di milioni di bambini. Aria fritta.
L’immancabile quanto insopportabile recita dei bambini
Poi è venuto fuori il solito teatrino con la rappresentante Unicef che ha letto delle poesie che non si mangiano né si prendono per curare la malaria, e alcuni scolari delle scuole elementari che hanno messo in scena la solita recita, che non si mangia e non serve per curare la malaria. Ci soccorre come spesso accade a noi inguaribili liberali e conservatori di ispirazione britannica il sommo Winston Churchill che, quando fu firmata la Carta dell’Onu nel 1945, fu facile profeta e dichiarò che il tutto gli sembrava “la premessa di una babele”. ha avuto ragione perché l’Onu con annessi e connessi, Unicef in testa, è uno dei più grandi fallimenti della storia dell’umanità, un carrozzone che in poco più di settant’anni ha sperperato miliardi d dollari. Certo, dire che l’Onu, con annessi e connessi, non abbia fatto niente è sgradevole, ma ciò non toglie che quello che ha fatto è costato troppo, per cui se avesse dato tutti quei soldi a fidati commissari del posto se non addirittura a dei frati francescani o saveriani, avrebbe ottenuto risultati di gran lunga superiori.
Spese umanitarie che finiscono nel calderone della politica
Si sa, i frati non prendono il tè delle cinque in salotto con gli amici e non festeggiano le ricorrenze in prefettura, ma lavorano sempre ad maiore Dei gloriam, come i templari che sono frati anche loro. A proposito di costi, due economisti di Harvard, Ilyana Kuziemko e Eric Werker, in un saggio intitolato “Cooperazione e corruzione alle Nazioni Unite” e pubblicato dal Journal of Political Economy, sostengono che i Paesi membri dell’Onu cercano ormai l’elezione per un mandato biennale nel massimo organo di governo del mondo non per esercitare influenza sulla sfera internazionale ma per avere dei soldi. L’assistenza finanziaria degli Stati Uniti ai paesi in via di sviluppo aumenta del 60% quando ottengono un seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Queste stesse nazioni ricevono anche un otto per cento in più di aiuti dalle agenzie della galassia delle Nazioni Unite e in particolar proprio dall’Unicef (ma va?). In media il paese in via di sviluppo si aspetta sedici milioni di dollari in più dagli Stati Uniti e l’assistenza aumenta marcatamente in tempi di crisi: a 45 milioni di dollari da Washington e otto milioni di dollari dal Palazzo di vetro.
Un’agenda infarcita di conferenze
Insomma di assistenza umanitaria non si parla, ma si parla di dollari dati alle nazioni che entrano nella sfera di influenza dell’Onu e quindi degli Usa, il che vuol dire guerre e basta. Ma intanto si fanno un sacco di conferenze e cerimonie. Nella sola Ginevra, le Nazioni Unite e l’Unicef hanno tenuto diecimila incontri in un anno, offerto 632 seminari di formazione e tradotto 220.000 pagine di documenti per annuari, report e documenti di lavoro dell’organizzazione.
Cosa sia l’Onu lo spiega Jean-Pierre Lehmann, professore di Economia politica internazionale a Losanna, in Svizzera: “L’Onu è stata una terribile delusione rispetto agli ideali con cui è stata creata. Oggi serve come una miniera d’oro per un sistema occupazionale gonfio”. Quella commissione ginevrina ha 220 dipendenti e un budget di cinquanta milioni di dollari. Nessuno sa a cosa servano. Una delle priorità su cui sta lavorando adesso questa indispensabile agenzia dell’Onu è come permettere alle persone con disabilità visive di guidare le auto elettriche.
L’azione dell’Unicef ha sortito effetti contrari alle intenzioni
Di queste cose si parla sempre più spesso nei soliti salotti del tè. Tuttavia, tè o non tè, resta il fatto che l’Unicef, coi suoi programmi, non è riuscito minimamente ad impedire un crescendo rossiniano delle problematiche legate all’infanzia, di una malaburocrazia endogena e paralizzante con i suoi istituzionali insabbiamenti, di una preoccupante corruzione del suo establishment centrale. La sua spesa annua oggi è quaranta volte superiore a quella che era nei primi anni Cinquanta, quando nacque con le migliori intenzioni. Il suo bilancio ordinario è più che raddoppiato negli ultimi vent’anni. E poi ci sono i contributi volontari dei singoli governi che vanno a finanziare gran parte delle agenzie Unicef e che sono aumentati di sei volte nel corso degli ultimi venticinque anni.
Un pozzo senza fondo
Ma dove finiscono tutti quei soldi visto che di risultati se ne vedono pochi? Prendiamo ad esempio un’offerta di 100 euro fatta all’Unicef per i bambini malnutriti dell’Uganda. Dal bilancio della sezione italiana (www.unicef.it) si scopre che l’Unicef Italia trattiene per le proprie spese di organizzazione, pubblicità, gestione, il 38% di quanto raccolto, cioè 38 euro. Questo non significa, però, che i 62 euro rimasti siano veramente utilizzati per l’infanzia, perché sono inviati alla sede internazionale dove entrano a far parte del bilancio generale dell’Unicef. Naturalmente una parte di questi fondi è utilizzata per coprire le spese di gestione e organizzative dell’ente. Visto l’enorme palazzo che ospita la sede e considerato che i direttori Unicef dei vari paesi sono equiparati ad ambasciatori e percepiscono gli stessi stipendi e godono degli stessi benefit in termini di case, viaggi, auto, si calcola che le spese siano circa il 30% del bilancio totale. Quindi quei 62 euro si riducono a circa 32 euro. Non è finita perché quei circa 32 euro sono inviati alla sede ugandese dell’Unicef che, inutile ormai dirlo, è gravata anch’essa da spese rappresentate da uffici, funzionari (ben pagati), automobili fuoristrada (generalmente sempre nuove e ben accessoriate), ecc. Possiamo ipotizzare che se ne vada un altro 20% dei 100 euro iniziali, cioè altri 20 euro circa, anche se nella realtà è praticamente impossibile stabilire le cifre vere. Alla fine dei nostri 100 euro, 38 li trattiene l’Unicef Italia, 30 l’Unicef Internazionale, 20 l’Unicef Uganda. Rimangono a disposizione 12 euro.
Ma c’è dell’altro in quanto l’Unicef Uganda non gestisce direttamente il progetto, ma “subappalta” l’intervento sul territorio a ONG Internazionali o nazionali che provvederanno ad acquistare e distribuire il cibo ai bambini malnutriti. Pagate le ulteriori spese di quei 12 euro rimane ben poco.
Ecco perché i templari vanno direttamente dai frati ai quali danno soldi e medicine. Si fa prima e funziona. Senza tanti tè delle cinque, carampane ingioiellate e insopportabilmente snob che parlano col birignao e prefette cielline di turno.