Casale Monferrato (Gianni Patrucco) – Dare soldi senza sapere perché è un leitmotiv del tutto italiano per cui la distribuzione a pioggia di denaro pubblico, ma anche privato destinato al pubblico, è alla base dello sconquasso delle ormai asfittiche casse dello Stato. E della quasi totale assenza di risultati nella ricerca scientifica.
Stiamo parlando di quella sulla cura del mesotelioma affidata ad un’oncologa senza titoli, che è passata davanti a tutti, anche a coloro che hanno dedicato la vita a questa difficile terapia e che ricoprono incarichi importanti nelle principali associazioni scientifiche del mondo che studiano questa malattia (MARF, IMIG, IASLC, ERS) senza dimenticare l’attività a livello nazionale (GIMe). Tuttavia secondo quanto dichiara al foglio della Fca Dino Amadori, direttore scientifico dell’Istituto Romagnolo di Meldola (?), il progetto finanziato è “di grande rilevanza scientifica e sociale, e coinvolge più partner potendo vantare una grande ricercatrice e un grande medico come Federica Grosso”.
Ricercatori senza titoli
Naturalmente questo lo dice lui, mentre a noi di Alessandria Oggi risulta esattamente il contrario, in quanto la dottoressa Grosso, pur essendo certamente un bravo medico, è stata nominata direttrice del centro Ufim (Unità Funzionale Interaziendale Mesotelioma) senza titoli, praticamente zero in confronto a quelli vantati da altri ricercatori. Infatti ci risulta che le sue ricerche siano in tutto nove, pubblicate su riviste minori, nessuna prima della nomina, per cui c’è da chiedersi su che base sia stata scelta. Infatti se è molto facile diventare membri delle associazioni scientifiche pagando l’iscrizione, non è altrettanto facile essere esperti chiamati dalle associazioni scientifiche a dare il proprio contributo. Fatto ancor più singolare è che, a quanto ci consta, non c’è un solo membro di Ufim, a partire proprio dalla dottoressa Federica Grosso, che abbia le credenziali richieste da un Ente che pretende di essere il capofila di una cordata di ricercatori nella lotta al mesotelioma in Italia.
Spese pazze
Inoltre non risulta che sia mai stato indetto un bando pubblico per l’identificazione d’un vero esperto in materia e, mentre continua a scorrere il fiume di soldi spesi finora a Pavia e a Casale Monferrato anche per capitoli di spesa che notoriamente sono assolutamente a buon mercato, i risultati non ci sono. Come si fa, per esempio, a spendere 25.000 euro per un sito web? Oppure 70.000 euro per lettere e telefonate? Ma anche 20.000 euro per la redazione e la stampa del rapporto annuale di attività? E dei 60.000 euro spesi per quattro riunioni fra i componenti della rete oncologica (15.000 euro a riunione) cosa si può pensare? Non è finita perché saremmo anche curiosi di sapere che fine abbiano fatto 300.000 euro ripartiti nelle cinque unità operative di cui sono referenti i dottori Grosso, Botta, Degiovanni, D’Angelo, Pedrazzoli, Magnani spesi per “formulare un modello operativo per la presa in carico globale del paziente affetto da mesotelioma maligno, in particolare per l’avvio ai centri di riferimento nelle fasi diagnostiche, terapeutiche, e per l’affiancamento dal punto di vista psicologico e di cure palliative in fase precoce. Applicazione del modello in diverse aree caratterizzate da elevata incidenza di mesotelioma e verifica dei risultati con metodi epidemiologici”, tutti obiettivi che, a quanto ci è dato sapere, non sono stati raggiunti.
Quale progetto?
Ora si viene a sapere che sono disponibili altri 3,8 milioni di euro per attuare un altro progetto di ricerca sul mesotelioma. Naturalmente il direttore generale dell’Asl Gilberto Gentili e la presidente di Afeva Giuliana Busto hanno legittimamente chiesto quella montagna di soldi messi a disposizione dall’avvocato Astolfo Di Amato, principale difensore del magnate svizzero Stephan Schmidheiny (l’imprenditore svizzero sotto accusa per le morti da amianto riconducibili all’Eternit italiana), in virtù degli accantonamenti derivanti dalle transazioni avvenute tra i singoli cittadini e lo stesso Schmidheiny (risarcimenti). Dall’università di Manchester, dove è professore ordinario e ricercatore sul cancro, Luciano Mutti (nella foto) fa sapere che il lavoro portato avanti da Ufim coinvolge “alcune persone che a livello locale si è deciso di definire esperti di mesothelioma”.
Il j’accuse del professore
Il professor Mutti osserva inoltre che quel progetto è la copia di quello facente parte d’un programma assai più ampio apparso sul sito web dell’associazione GIMe (Gruppo Italiano Mesotelioma) volto a “migliorare la stratificazione dei pazienti al fine di definire quale terapia sia più appropriata, caso per caso” per cui “sarà possibile definire una precisa caratterizzazione individuale che permetterà di scegliere la cura chemioterapica più adatta, migliorando le possibilità di cura e sopravvivenza al mesotelioma. I risultati potranno quindi fornire un modello predittivo di chemiosensibilità basato sul profilo genetico del singolo paziente”.
Cosa c’entra Silvio Garattini?
Per accreditare il progetto casalese è stato scomodato il professor Sivlio Garattini direttore dell’istituto Negri, che sarà indubbiamente un farmacologo di grande levatura, ma altrettanto indubbiamente sulla cura del mesotelioma non è altrettanto ferrato. Sempre al foglio della Fca Garattini dichiara: “Il progetto, molto articolato, parte da studi clinici per trovare terapie oggi inesistenti. Speriamo possa rappresentare un passo avanti per la cura di un tumore finora poco studiato” e viene smentito proprio dal professor Mutti che risponde a stretto giro di posta: “Il professor Garattini solo alcuni anni fa dichiarava l’inutilità della ricerca sui tumori da amianto e di come questa posizione venne giustamente contestata a livello locale”. Evidentemente Garattini ha cambiato idea in poco tempo, e la cosa non si spiega in quanto a Casale la dottoressa Grosso non ha ottenuto nessun risultato sulla cura al mesotelioma.
A Manchester sono a disposizione
E allora? Cosa sta succedendo? Perché non avvalersi della grande esperienza e della grande preparazione di scienziati che hanno già ottenuto incoraggianti risultati in materia?
A questo proposito il professor Mutti scrive: “Visto che in Inghilterra il progetto di modello di stratificazione genetica è praticamente terminato, in collaborazione con l’Università di Harvard, per cui si pensa di pubblicarne i dati in una grossa rivista entro marzo, mentre il resto della stratificazione è in pieno svolgimento, perché non mettere insieme i due progetti?”, cioè quello di Casale e quello di Manchester? Anche perché il risultato migliorerebbe di molto potendo contare su una task force con ampia e riconosciuta competenza specifica nonché su fondi autonomi.
Invece, nonostante che la dottoressa Grosso abbia già avuto a disposizione 1,5 milioni di euro messi a disposizione nel maggio 2014 dall’avvocato Astolfo Di Amato, principale difensore di Schmidheiny, a Casale Monferrato non ci sono stati risultati degni di nota.
Quei soldi sono la prima tranche di circa 5 milioni accantonati a seguito delle transazioni dei privati con Schmidheiny di cui restano i 3,8 milioni richiesti di recente.